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Atomica: la dottrina Trump che spaventa il mondo

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L’atomica di Trump: è stata resa nota la nuova dottrina del presidente americano, solo abbozzata nello Stato dell’Unione. Purtroppo, è meno nuova di quanto si creda. Anche perché è pensata per contenere avversari tradizionali: Russia in testa, tacciata di attivismo bellicista.
La paura dell’arma più terribile, però, finisce per sommarsi alle critiche, spesso al limite del caricaturale, rivolte al Presidente Usa. Sicché, riesce facile per qualcuno immaginarselo nei panni del dottor Stranamore. Fortunatamente, per metter mano alla valigetta che lo accompagna ovunque, Trump, come i suoi predecessori, non potrebbe fare da solo.

Il club del nucleare

Nei decenni, comunque, la proliferazione nucleare non si è arrestata. È vero che il club dei Paesi dotati dell’atomica si è allargato di poco. Ai 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Usa, Russia Cina, Francia e Gran Bretagna), si sono aggiunti “solo” India, Pakistan e Corea del Nord. Poi, però, c’è Israele, la cui atomica non è un segreto per nessuno. Soprattutto la diversificazione del tipo di testate, in favore di quelle a più basso potenziale, è fonte di grande preoccupazione. Partiamo da qui, cioè dalle novità annunciate su questo versante dall’amministrazione Trump.

Atomica Usa: le novità 

La “Nuclear Posture Review” (revisione della strategia nucleare), pubblicata lo scorso 2 febbraio, rappresenta in parte una svolta nella politica militare statunitense. Il documento analogo precedente, datato 2010 e curato dall’amministrazione Obama, si sforzava chiaramente di ridurre l’arsenale atomico americano. Ora, invece, il Segretario alla difesa James Mattis delinea un programma di ammodernamento dell’armamento nucleare. Niente aumento del numero complessivo delle testate, la parola d’ordine è diversificazione. Insomma, un’inversione non a 360, ma pur sempre a 180 gradi.
Le principali novità rispetto al recente passato sono due: Il ritorno, con perfezionamenti, alle armi tattiche di teatro, cioè quelle a più basso potenziale. Il reinserimento nell’arsenale di missili da crociera nucleari lanciati da sottomarini (Slcm). Analizziamole distintamente.

Le armi tattiche di teatro

Le bombe nucleari a basso potenziale erano già state sviluppate in piena guerra fredda. Per questo, la dottrina Trump sa anche di ritorno all’antico. Testate da un solo kilotone (17 volte meno potenti di quelle sganciate su Hiroshima) possono essere caricate anche su normali proiettili d’artiglieria. E possono venire impiegate in operazioni selettive, tali da nuocere gravemente ai nemici senza legittimarne una reazione nucleare devastante. Consideriamo che le attuali bombe all’idrogeno sono in media di 50 megatoni.

È un po’ questo il cuore della disapprovazione piovuta sulla dottrina Trump. Anziché guardarsi dai rischi immensi di distruzione che le armi non convenzionali fanno correre, miniaturizzare le bombe rischia di banalizzarle. E, così, di accrescere la probabilità di un loro impiego. Senza dimenticare che le ridotte dimensioni, la facilità di occultamento e di trasporto, potrebbero farle finire anche nelle mani di gruppi terroristici.

Le novità potrebbero riguardare anche gli ordigni statunitensi stanziati in Italia, nell’ambito degli accordi Nato. Infatti, 70 delle 150 atomiche modello B61 dislocate in Europa si trovano a Ghedi e ad Aviano. Il loro destino, secondo la “Nuclear Posture Review”, dovrebbe essere quello di venire sostituite dalle nuove B61-12. Che, tra l’altro, avrebbero il pregio di non dovere essere posizionate all’estero. Armi tattiche statunitensi sono presenti anche in Germania, Belgio, Olanda e Turchia.

I missili sottomarini cruise

La sorte dei missili intercontinentali da crociera sottomarini (Slcm) sembrava segnata, in chiave nucleare. Prima George W. Bush ne aveva sospeso l’utilizzo. Poi Barack Obama li aveva del tutto rimossi dall’arsenale. Ora tornano in campo, o meglio sott’acqua. I missili cruise percorrono una traiettoria guidata a distanza, non condizionata da coordinate prefissate.
Le opzioni nucleari statunitensi, così, tornano a essere tre. Cioè: missili balistici intercontinentali terrestri, missili da crociera sottomarini e ordigni caricati su bombardieri strategici.

Atomica: verso un ignoto pericoloso

Chi ha scritto la revisione ha di mira, a parte lo scalpitante Kim Jong-un, la Cina e soprattutto la Russia. Ad onta dell’annunciato (e temuto, in America) appeasement con Mosca, sembrano prevalere, nell’amministrazione Usa, i riflessi condizionati della guerra fredda. Né si può escludere che il Russiagate finisca per condizionare il Presidente, spingendolo a fugare i sospetti con politiche aggressive. Il ministro degli Esteri russo, Lavrov, si è detto deluso dal documento del Pentagono, il cui carattere antirusso appare evidente.

Secondo la rivista The American Conservative, stanno prendendo il sopravvento, tra i consiglieri di Trump, figure come Keith Payne e Franklin Miller. Cioè, esponenti tra i più agguerriti, sul nucleare, negli ambienti vicini alle forze armate. Il loro dichiarato obiettivo di aumentare la flessibilità della capacità atomica, per far fronte a scenari diversi, introduce pericolosi fattori d’incertezza. Risultato: per il Bulletin of the Atomic Scientists, quest’anno saremmo prossimi all’armageddon nucleare come solo nel 1953.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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