Bakhmut è diventata la battaglia cruciale per Putin. Perderla potrebbe essergli fatale in Ucraina. Se guardiamo alla storia, troviamo un precedente illuminante: la battaglia di Waterloo, che anche oggi ci fa capire molte cose.
“La Garde recule” è stato il grido di sgomento serpeggiato sul campo di battaglia di Waterloo quel 18 giugno 1815. Napoleone, durante i suoi vent’anni di battaglie in giro per l’Europa, aveva utilizzato raramente la sua Guardia imperiale, che doveva servire come ultima riserva in caso di estremo pericolo. Sul campo belga, al fare della sera, dopo molte ore di combattimento, Napoleone ordina alla Guardia di avanzare. La Guardia non si arrenderà.
Circondata dagli Anglo-prussiani farà quadrato e il suo generale, Cambronne, dirà “la Guardia muore ma non si arrende”, frase poi condensata in un’unica parola, volgare, che ormai noi definiamo “di Cambronne” anche se lui negherà sempre di averla pronunciata. Ma il grido “la Guardia si ritira” rimbalza sul campo di battaglia e provoca il panico: se la Guardia si ritira non ce n’è più per nessuno. E lo sgomento si trasforma in rotta. In poco tempo un esercito di 74mila uomini che pure aveva fatto meraviglie, si disperde.
La sensazione della sconfitta
Alessandro Barbero ricorda che una battaglia si vince o si perde quando, indipendentemente dalle forze sul campo, in uno dei due schieramenti si diffonde la sensazione della sconfitta. Per lo storico non è necessario uccidere un grande numero di nemici, è sufficiente che il nemico entri nel momento psicologico di ritenere di aver perso, anche se magari è meglio armato e più numeroso dell’avversario che ha davanti.
Bakhmut è (era) una città di circa 70mila abitanti. Oggi è una città fantasma dove da settimane Ucraini e Russi si combattono senza esclusione di colpi. Perché morire per Bakhmut? Per lo stesso motivo per cui si è combattuto in mille altri posti, di per sé insignificanti, che ricordiamo come Waterloo, Salamina, Maratona o Marengo.
Se vincerà Mosca, secondo il segretario americano alla Difesa Lloyd Austin “non significherà necessariamente che i russi avranno cambiato le sorti di questa guerra”. Ma per il capo del gruppo di mercenari Wagner, Yevgeny Prigozhin “se ci ritiriamo da Bakhmut, Kiev vince la guerra. Crollerebbe l’intero fronte russo”.
Carneficina quotidiana
Secondo Kiev nell’assalto a Bakhmut i Russi stanno perdendo oltre 500 soldati al giorno; corpi che giacciono insepolti tra i contendenti in lotta. Zelensky ha ordinato la resistenza ad oltranza, anche se alcuni capi militari ucraini si dimostrano critici, affermando che la battaglia, tatticamente inutile, causa un’emorragia di soldati e armamenti che sarebbero necessari altrove.
La città è ormai ridotta ad un cumulo di macerie. Ma la prova di forza dell’Ucraina ha senz’altro un aspetto psicologico che travalica i fatti; se gli Ucraini si ritirano da Bakhmut, lasciando il campo alle forze russe, l’effetto propagandistico della notizia sarebbe letale per il morale delle forze armate di Kiev. Mosca non vede l’ora di dichiarare di aver conquistato l’insignificante cittadina del Donec’k. E senz’altro dichiarerebbe che questa è la vittoria che attendeva da mesi e che cambierà le sorti del conflitto.
Due scenari
Le forze Russe lamentano la mancanza di munizioni e probabilmente l’incauta dichiarazione di Prigozhin serve per ottenere da Mosca gli equipaggiamenti e forse gli uomini che gli mancano. Solo tra qualche giorno sapremo chi ha vinto e chi si è dovuto ritirare. Ma probabilmente la vittoria o la sconfitta a Bakhmut segneranno le sorti della guerra da entrambe le parti. Paradossalmente, l’esito della battaglia potrebbe avvicinare la fine della guerra, che approfonditi studi strategici collocano tra la fine della primavera e l’inizio della prossima estate.
Gli scenari sono sostanzialmente due: se a Bakhmut dovessero vincere, gli Ucraini potrebbero “correre” fino ai confini della Federazione russa, riconquistando le repubbliche da poco annesse da Mosca. Se dovessero vincere i Russi, si aprirebbe loro la strada per arrivare alle più importanti città ucraine di Sloviansk e Kramatorsk con risultati difficilmente prevedibili. Ma a quel punto, forse, Zelensky potrebbe decidere di iniziare le trattative di pace.
(articolo pubblicato su ItaliaOggi)
Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.