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Operazione Cartagine: perché in Tunisia Meloni ha battuto Draghi

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Cartagine: stupisce il ritorno di un nome che per molti di noi sa di terza elementare. Meloni a Cartagine? Ma non era quella città che «delenda est» secondo Marco Porcio Catone? Non era stata poi distrutta dai Romani col famoso sale sparso sulle rovine?

Si, è sempre lei, la rivale di Roma che, alla fine delle tre guerre puniche, è stata conquistata e distrutta. Ma, come una fenice, riemerge dalle sue ceneri: nel 370 dopo Cristo, e così 500 anni dopo la sua distruzione, ospita Sant’Agostino che, inviato nella città africana per studiare retorica forense, vi si appassiona di filosofia manichea e da lì passa agli studi religiosi che caratterizzeranno la sua vita.

Ma non era stata distrutta? Certo, ma un secolo dopo i Romani avevano ricostruito la città, tanto che oggi i turisti vengono condotti a “Cartagine” per trovarvi reperti archeologici romani come le terme di Antonino. Per trovare qualcosa di punico occorre recarsi nello splendido museo del Bardo oppure a qualche centinaio di metri di distanza dal luogo archeologico indicato come “Cartagine” per trovare le tracce dei due porti appunto cartaginesi, uno rotondo e uno quadrato, che ospitavano l’enorme flotta da guerra e l’altrettanto agguerrita flotta commerciale puniche. E chi cerca reperti del rogo di Didone deve recarsi ancora più lontano. Insomma, i Romani che, da vincitori, hanno scritto la storia di Cartagine, dopo ancora duemila e passa anni ne condizionano il ricordo.

Vertice a quattro

Perché la premier italiana è stata a Cartagine nei giorni scorsi? Perché proprio lì, in un luogo magico, a picco sul mare, sorge l’enorme palazzo presidenziale tunisino che ricopre gran parte dei reperti archeologici del posto. È come se noi avessimo costruito il Quirinale in mezzo ai fori imperiali. E qui vorremmo passare da una leggenda ad un’altra: ricordate non più tardi di un anno fa, quando si diceva che un eventuale e annunciato governo Meloni ci avrebbe allontanato dall’Europa, resi insignificanti e trattati come paria?

Se Mario Draghi fosse riuscito a portare a Tunisi–Cartagine non solo la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ma addirittura il capofila dei Paesi cosiddetti frugali, quel Mark Rutte che ci ha dato una serie di stoccate per le nostre spese facili, si sarebbe parlato di trionfo epocale. Se poi, portati in Africa i due esponenti europei, Draghi fosse riuscito a trovare un accordo col presidente tunisino per limitare gli sbarchi, pochi commentatori avrebbero resistito a paragonarlo ad un novello Churchill.

I distinguo, Minniti e…

Se leggiamo i giornali di questi giorni, invece, anche senza negare l’evidenza dell’accordo tra Europa e Tunisia, non si leggono che caveat e limitazioni: «Sì, ma non hanno tagliato le unghie al presidente tunisino Kaïs Saied»; «Sì ma l’accordo è deficitario»; «Non è così che si risolvono i problemi dell’immigrazione» e via discorrendo.

È ovvio che questo non è che un primo passo, pieno di incognite; che la Tunisia non è la Libia e che Saied si è visto costretto all’accordo per impellenti esigenze interne di economia e politica. Ma, strano a dirsi, Meloni ha visto l’endorsement di un vero e proprio esperto in politica migratoria come l’ex ministro dell’interno piddino Marco Minniti che ha dichiarato: «L’accordo con la Tunisia è un successo del Governo italiano. La Meloni deve essere come la Merkel per stabilizzare l’Africa».

Fino a pochi consessi europei fa, quando il premier italiano provava a proporre il tema dei migranti veniva messo a tacere. Oggi, quantomeno, grazie all’opera della Meloni, la politica migratoria è all’attenzione delle cancellerie europee. Un primo passo, d’accordo, ma meglio di niente.
(articolo pubblicato su ItaliaOggi)

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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