Elon Musk: dopo la vittoria dell’amico Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca, il magnate entra a gamba tesa nella polemica politica italiana tra Governo e Magistratura sul trattenimento sul territorio albanese dei migranti, dicendo che sono proprio i magistrati a doversene andare («These judges have to go»). Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella reagisce con una nota ufficiale, in cui afferma che sappiamo badare a noi stessi e che chi sta per assumere incarichi di governo in Paesi amici e alleati deve rispettare la nostra sovranità, astenendosi dal darci prescrizioni. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni si barcamena in evidente imbarazzo, tra cordiali colloqui con l’amico Musk e dichiarazioni informalmente diffuse nelle quali ribadisce costante e rispettosa attenzione ai richiami del capo dello Stato.
Questa la sequenza dei fatti degli ultimi giorni e delle ultime ore, con qualche piccolo corollario, come una breve replica pubblica di Musk a Mattarella, pare dopo il colloquio telefonico con Meloni. Il patron di Tesla si protesta rispettoso del nostro presidente della Repubblica, ma allo stesso tempo rivendica la propria libertà di espressione, protetta dalle Costituzioni di entrambi i Paesi, Stati Uniti e Italia. Proviamo adesso a “intus legere” come dicevano i Latini, cioè a capire un po’ di più cosa sta sotto questo caso abbastanza strano.
Musk e il vento sull’immigrazione
Anzitutto, perché Musk si è occupato di una questione come la gestione di una parte degli immigrati clandestini da parte dell’Italia? Il motivo più probabile, cioè più rispondente alle evidenze, è che lo abbia fatto sia perché il tema migratorio ha rilevanza mondiale, sia perché il contrasto alla migrazione clandestina – cioè quella che si realizza a condizioni che i Paesi riceventi devono subire e non stabilire – è stato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Trump, che Musk ha largamente sostenuto. Il miliardario dai natali sudafricani è evidentemente interessato a cambiare la narrazione prevalente dell’accoglienza, assecondando il vento di realismo che sembra spirare più forte che non in passato.
Potrebbe essere stato sollecitato a intervenire da esponenti del governo, compresa la presidente Meloni? Ci sembra del tutto improbabile ed inverosimile. Il Governo italiano non trae nessun beneficio dall’insolito non meno che fragoroso appoggio di Musk alla sua linea di politica di contrasto all’immigrazione clandestina. La rissa mediatica, per questa strada, è destinata a farsi più rumorosa, mentre nel merito le rispettive posizioni non ne saranno minimamente intaccate. Maggioranza di centrodestra e magistrati non sono destinati ad intendersi perché ragionano a partire da punti di vista diversi e più avanti diremo perché.
La scelta di replicare di Mattarella
Veniamo a Mattarella. Secondo noi, non è vero che il presidente dovesse necessariamente intervenire. Ovviamente, farlo era una possibilità molto concreta, ma non era affatto una necessità. Ciò per due motivi. Primo, perché un capo dello Stato che risponde ad un cittadino straniero – sia pure molto noto ed influente – finisce per contribuire ad aggravarne l’ego e la smodatezza dei comportamenti. Della serie: ignorarlo è meglio per tutti, mentre replicargli significa accreditarlo. Secondo, perché quello del silenzio è un magistero dell’attuale presidente della Repubblica rilevante almeno quanto quello della parola. Mattarella ha taciuto e tace in varie circostanze, secondo il suo responsabile apprezzamento. Insomma: secondo noi, il capo dello Stato ha voluto e non dovuto prendere posizione.
Musk, non nominato direttamente da Mattarella, è designato nella nota di quest’ultimo come «in procinto di assumere un importante ruolo di governo in un Paese amico e alleato». La nota del Quirinale è stata diramata il giorno prima che il presidente eletto Trump annunciasse l’informale incarico di Musk in seno alla nuova Amministrazione statunitense. Si tratterà di un organo consultivo per la riorganizzazione del settore pubblico federale, ma non avrà dignità né di Dipartimento (i nostri Ministeri), né di Agenzia (qualcosa di comunque simile ai dicasteri). In più, la nuova Amministrazione entrerà in carica insieme al nuovo presidente Usa solo il 20 gennaio prossimo. Sicché, le precisazioni presidenziali italiane hanno finito per dilatare ciò che intendevano dichiaratamente circoscrivere.
Tra sovranismo, Quirinale e…
Passiamo a Meloni. Gli imbarazzi, nel suo caso, sono plurimi. Lei è politicamente affine a Trump e ha ormai stabilito un rapporto personale con Musk, attestato da ripetute visite italiane del magnate e dalla consegna alla presidente del Consiglio di un premio americano dalle mani dell’amico Elon. In più, quando in passato si collocava politicamente all’opposizione e soprattutto agli esordi del governo da lei presieduto, Meloni si è trovata più volte a lamentare ingerenze straniere in affari interni nazionali. È vero che un ministro della Repubblica Francese o un membro della Commissione europea non sono dei privati come Musk era, è e resterà, nonostante l’incarico di consulenza che ha ricevuto. Nondimeno, è chiaro che la contraddizione tra le repliche puntute del passato e il silenzio attuale della premier viene sottolineata a sinistra e sui media.
La leader di FdI deve poi gestire il suo rapporto con il presidente della Repubblica. Iniziato sotto auspici apparentemente buoni, benché Meloni sia stata l’unica a non votare il bis di Mattarella all’inizio del 2022, questo legame rischia di finire logorato dall’usura. Anche perché non ci sono solo differenti orizzonti generazionali e culturali a dividerli, ma anche modi diversi di intendere le questioni istituzionali interne (attualità ovvero inattualità della nostra forma di governo e dell’assetto dei nostri poteri pubblici) ed europee (prospettiva federalista ovvero cooperazione intergovernativa). Senza dimenticare che tutto il variegato fronte progressista considera apertamente la presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale dei contro-poteri rispetto alla maggioranza… che c’è, naturalmente.
Infine, la presidente del Consiglio ha il problema dei magistrati che si mettono per traverso rispetto al suo “modello Albania”. È chiaro come, prima di diffondersi a parlarne, convenga aspettare che si pronunci la Corte di Giustizia dell’Ue. Sin d’ora, però, ci sentiamo di dire una cosa. Al netto della politica – e l’amministrazione della giustizia ne costituisce una delle forme più rilevanti – e della propaganda, Meloni e la sua maggioranza sembrano volere fare eco all’idea per cui gli Stati esistono e tutelano i propri cittadini e il proprio territorio. Dall’altra parte, un variegato mondo politico-culturale e la Magistratura ragionano in termini di principio e con un respiro universalistico. Una mediazione è necessaria, ma a partire dalla realtà e non dalle utopie.
L’indignazione e il confronto delle idee
Senza dubbio, Elon Musk rappresenta un’incognita sotto molti punti di vista: il cosmopolitismo singolarmente a braccetto con afflati patriottici; la concentrazione di potere economico, tecnico, informativo e politico; la cupa minaccia del transumanesimo, solo minimamente indorata dalla promessa di un futuribile turismo spaziale. Quando esprime delle idee, però, è più importante entrare nel merito che indignarsi, qualora si decida di prenderlo in considerazione.
Musk è lo stesso che ha appena vinto e non perso, insieme a Trump, le presidenziali americane. Qualcosa vorrà pur dire: perché, se vincere non significa necessariamente avere ragione, perdere non esclude affatto la possibilità di avere torto.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.
Complimenti, complimenti vivissimi all’Avvocato Cavallotti❗️❗️Ho letto l’articolo e sono entusiasta