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Celibato dei preti: ha ancora un senso e durerà a lungo?

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Marcello Mastroianni e Sophia Loren in una scena del film di Dino Risi "La moglie del prete" (1970)

Il celibato dei preti è destinato a durare? Non si sa più che cosa pensare, in questi tempi segnati da scandali e disorientamento. La questione è sempre alla ribalta grazie a qualche caso di cronaca, che invariabilmente solletica la curiosità popolare.
Potrebbe restare indifferente, la gente, di fronte a don Gianfranco Del Neso di Ischia, intenzionato ad assumersi le sue responsabilità verso una donna e il figlio che aspetta da lei? Oppure, quando dovesse leggere che 300 ex preti sposati hanno scritto al Papa non più tardi di due settimane fa, chiedendo di essere riammessi al sacerdozio? E crederà tutta alle proprie orecchie, quando sente dire da Francesco che il celibato dei preti non è un dogma? In effetti non lo è, ma tanti di quelli che frequentano la Chiesa non lo sanno e non è detto lo vogliano sapere. 
Proviamo a vederci più chiaro, allora, evitando possibilmente di fare confusione.

Celibato dei preti: le eccezioni  

Il primo aspetto da tener presente è che, quando si parla di celibato clericale, la questione non è teologica ma disciplinare. In altri termini: l’obbligo di non sposarsi non è intrinseco al sacerdozio, ma funzionale alle esigenze ecclesiali. Questo implica delle conseguenze.

Anzitutto, come si diceva, il celibato dei preti non è irriformabile, né privo di eccezioni anche nella Chiesa cattolica. Le chiese cattoliche di rito orientale (e non tutte, comunque) hanno una disciplina simile a quella della Chiesa ortodossa. Cioè, ammettono al diaconato e al presbiterato anche uomini sposati. Il sacerdote uxorato (sposato), però, non può diventare vescovo. Inoltre, se uno è prima diventato prete, dopo deve restare celibe. Anche nelle chiese cattoliche orientali, in ogni caso, la condizione celibataria è raccomandata per i chierici.

Colpa dei seminari

In origine, neanche nella chiesa cattolica di rito latino il celibato dei preti veniva formalmente richiesto. Del resto, la primitiva comunità di Gesù con gli apostoli e i discepoli era composta anche da uomini coniugati. Però, fin dal IV secolo si radicò l’opinione che gli sposati ammessi all’Ordine sacro dovessero praticare la continenza domestica. Per arrivare a considerare non solo illeciti ma anche nulli i matrimoni contratti dai chierici, bisognerà attendere il XII secolo (Concilio Lateranense II, 1139). Sarà con il Concilio di Trento (1545-1563) e la costituzione dei seminari per la formazione dei giovani al sacerdozio che il celibato s’imporrà definitivamente come regola in occidente.

A tutt’oggi, dunque, la chiesa cattolica di rito latino non conosce eccezioni vere e proprie a questa norma. È un caso speciale quello del diacono permanente (che non diventerà mai prete), figura reintrodotta dal Concilio Vaticano II. Può essere ordinato diacono anche l’uomo sposato (col consenso della moglie), ma una volta ordinato non può  risposarsi ove rimanga vedovo. È un caso a parte anche quello dei preti riformati che vogliano diventare preti cattolici. Fin dai tempi di Pio XII (1951), una volta ricevuta la nuova ordinazione, costoro mantengono il legame coniugale che avevano contratto.

Celibato e castità

A questo punto va fatta una considerazione, prima di dire perché, nonostante il calo delle vocazioni, convenga ancora mantenere la regola celibataria.
È stata la Chiesa stessa a radicare il fondamento ultimo di quest’obbligo sull’esempio di Gesù. E, così, a far coincidere il celibato con la castità. Forse questo non aiuta a capire, specie in tempi secolarizzati come i nostri. Siccome i consigli evangelici di perfezione (povertà, castità e obbedienza) sono raccomandati a tutti i battezzati, non sembra strano che essi caratterizzino la condizione dei chierici. Ma non è questo il punto. La castità è una scelta intima, che non tutti possono compiere seguendo la propria natura. Senza contare che la castità esigente richiede la mortificazione non solo del corpo, ma anche dello spirito, cioè del semplice desiderio. Ciò che la Chiesa domanda al clero con il celibato è essenzialmente di non dividere la propria vita con una famiglia che giocoforza avrebbe la priorità.

Fra casa e chiesa

La soppressione della regola del celibato dei preti porrebbe certamente nuovi e più gravi problemi di quelli che, forse, potrebbe contribuire a risolvere. Esemplifichiamone due: il divorzio e la rappresentanza giuridica degli affari ecclesiali.
Il prete che si sposasse, per la legge dello Stato, potrebbe anche divorziare. Per cui, a meno di non fargli omettere la registrazione delle nozze nello stato civile, la Chiesa come si comporterebbe? Dovrebbe rivedere la dottrina sull’indissolubilità del matrimonio?

E che dire, d’altra parte, dei negozi giuridici conclusi dai parroci in nome e per conto delle loro comunità? Se i preti avessero moglie e figli, oltre che nipoti e affini, vedrebbero ogni affare sospettato di versare in conflitto d’interessi. Soprattutto l’attività caritativa della Chiesa rischierebbe un danno difficilmente riparabile, a causa dell’accresciuta diffidenza popolare.

I “viri probati” 

In conclusione, possiamo dire che è comprensibile per molti motivi la contrarietà della Chiesa cattolica a rivedere la regola del celibato dei preti in occidente. Barattarla con un ipotetico aumento delle vocazioni sarebbe come pignorare i gioielli di famiglia per sostenere la spesa corrente domestica. In più, aprirebbe nuovi e non meno gravi problemi. Infine, aggraverebbe la tendenza a considerare il sacerdozio un mestiere, anziché una missione.

È vero che sia Papa Francesco sia il cardinale Parolin hanno dichiarato di aver presente la questione. Ma ciò vale soprattutto per casi particolari, come quello dell’Amazzonia, dove la vastità del territorio e l’isolamento di certi luoghi suggerisce la possibilità del ricorso ai “viri probati”. Cioè, uomini anziani sposati o vedovi da ordinare preti ricorrendo determinate necessità. Se ne parlerà in un Sinodo apposito, l’anno prossimo. Ma riguarderà solo quei territori. Per ora, dunque, non troveremo donne che, come Sophia Loren nel film di Dino Risi, dovremmo chiamare “la moglie del prete”.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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