Cittadinanza, ius scholae, ius culturae: temi seri branditi per beghe politiche di coalizione. Difficile farsi un’idea diversa del dibattito (se così si può osare chiamarlo) scaturito negli ultimi giorni a partire, apparentemente, dai successi olimpici parigini di alcune nostre atlete, cittadine nate in Italia da genitori stranieri e naturalizzate italiane.
Perché aderiamo alla “tendenza Andreotti”, secondo la quale a pensare male si fa peccato ma ci si azzecca quasi sempre? Perché ci sembra non si possa fare altro, sulla base dei fatti: andiamo, pertanto, a ricapitolarli. Non prima, però, di avere richiamato le coordinate normative attuali della cittadinanza italiana (legge n.91/1992).
Ius sanguinis e naturalizzazione
Il principio generale che regola la materia nel nostro Paese è il cosiddetto ius sanguinis: si è cittadini per nascita, indipendentemente dal luogo, in quanto figli (naturali o adottivi) di cittadini (entrambi o anche uno solo) italiani. Il diritto si trasmette per generazione e, salvo rinuncia o altra causa prevista dalla legge, non si perde nemmeno nel caso di concorrenza con analoga posizione acquisita in un altro Paese (doppia cittadinanza). È, inoltre, cittadino italiano chi nasce nel territorio della Repubblica da genitori ignoti o apolidi, ovvero chi (in ottemperanza alle regole degli altri Paesi) non segue la cittadinanza dei genitori.
La cittadinanza italiana si ottiene, altresì, per naturalizzazione. Il primo caso di questa specie è l’acquisto della cittadinanza per matrimonio con chi ne sia già in possesso: occorrono 6 mesi di residenza previa rispetto alle nozze, ovvero (in alternativa) 2 anni di residenza successiva. Sono poi casi di naturalizzazione gli altri più noti. Parliamo dello straniero nato in Italia e che vi abbia sempre regolarmente risieduto sino al compimento della maggiore età (la richiesta va presentata entro il compimento del 19° anno). Nonché dello straniero ed i suoi figli minorenni, che abbiano risieduto regolarmente nel Paese per 10 anni ininterrotti (ridotti a 4 se si tratta di cittadini dell’Unione europea).
L’alternativa dello ius soli
La grande alternativa al principio dello ius sanguinis è rappresentata dallo ius soli: in base a quest’ultimo, si diventa cittadini per il solo fatto di essere nati sul territorio (suolo) nazionale. Caso di questo tipo famoso per eccellenza è quello degli Stati Uniti. Come si intuisce, l’esempio americano è perfettamente modellato sulla storia di quel Paese, che è stato edificato come Stato da immigrati provenienti dall’estero, che lo hanno conquistato e colonizzato.
Viceversa, lo ius sanguinis è proprio delle esperienze di popoli lungamente e stabilmente insistenti sul medesimo territorio, al punto da diventare (come il nostro a cavallo dei due secoli scorsi) genti di emigrazione in consistenti proporzioni. È pur vero, comunque, che oggi, per quanto ci riguarda, le condizioni demografiche e socio-economiche sono significativamente cambiate.
Una parola va detta anche sulle differenze, di fronte allo Stato, tra chi è cittadino e chi no. Con la Costituzione repubblicana, i diritti civili e sociali sono riconosciuti alla persona, quindi anche gli stranieri ne godono in sostanza pienamente. In pratica, chi non è cittadino è sprovvisto dei soli diritti politici (elettorato attivo e passivo).
Diritti e doveri
Veniamo, finalmente, al dunque, cioè al quid politico delle polemiche politiche odierne. Parlavamo all’inizio della strumentalizzazione della questione per beghe politiche coalizionali. Non si può interpretare diversamente la cosa.
Un tema come la cittadinanza, in sé e per sé considerato e per come finisce per situarsi nelle concrete condizioni sociali, oltreché politiche, non può non essere considerato rilevante in ordine al programma della maggioranza parlamentare e, così, del Governo. L’argomento secondo cui i “diritti” non avrebbero colore (o, secondo l’ultima versione del presidente del Veneto, Luca Zaia, dovrebbero essere protetti da una fantasiosa ed evidentemente metaforica no-fly zone) è buono solo a partire da un equivoco. Vale a dire, scambiare i propri e talvolta gli altrui desideri per diritti. Intanto, non c’è diritto, né libertà che possano prescindere dall’ancoramento alla verità oggettiva.
Non basta. L’insistenza untuosa e pretestuosa sui “diritti” non radica solo un pernicioso e diseducativo strabismo in danno dei doveri, ma esaspera anche la già abnorme ipertrofia dell’individualismo, che erode i rapporti comunitari. Tutte le relazioni (personali, familiari, sociali e politiche) finiscono per risentirne negativamente.
La sinistra e Forza Italia
Scendendo sino alle questioni di colore politico strettamente inteso, cosa sta succedendo? Accade che, con la scusa delle Olimpiadi e di qualche gesto o dichiarazione di insignificante stupidità, la sinistra italiana si accorge d’un tratto del problema delle regole che presiedono da 32 anni al riconoscimento della cittadinanza. Peccato che, durante questi sei lustri, la sinistra sia stata al governo nove anni da sola (1996-2001 Prodi I, D’Alema I e II e Amato II e poi 2006-2008 Prodi II, quindi 2019-2021 Conte II), tre anni e mezzo insieme ad altri con alchemiche formule tecniche (1995 Dini, 2012 Monti e 2021-2022 Draghi), un anno (2013 Letta) con una maggioranza ibrida, e quattro anni grazie ai trasformisti (2014-2018, Renzi e Gentiloni).
Poi accade che Forza Italia, un partito che ha egemonizzato per 20 anni la coalizione di centro-destra (quasi sempre elettoralmente prevalente nel Paese e comunque l’unica ad avere vinto sempre nettamente), faccia altrettanto; cioè scopra che le regole della cittadinanza non vanno e lo faccia proprio ora, quando Forza Italia è diventato il socio di minoranza dell’attuale maggioranza. Singolari coincidenze, non vi pare?
Piccolo cabotaggio
La storia del partito piccolo che prova più gusto a logorare l’alleato grande anziché gli avversari è vecchia quanto la politica di piccolo cabotaggio. Il che, purtroppo, equivale a dire che è vecchia quanto l’Italia. È chiaro a tutti che Fratelli d’Italia non può sicuramente farsi carico di una svolta come lo ius scholae (cittadinanza riconosciuta ai minori stranieri dopo il compimento di un regolare ciclo di studi) o lo ius culturae (sufficienza anche di un percorso di formazione professionale) sotto pressione e dettatura della sinistra politica e mediatico-culturale. Ammesso e non concesso, ovviamente, che condivida per principio e nel merito la proposta, che Forza Italia sostiene sia anche la sua.
La Lega è lieta della grana piantata da Forza Italia, perché può sfruttare l’occasione per insidiare a destra il partito di Giorgia Meloni. E Forza Italia, mentre si accredita presso il mainstream, prova a fare calare nei consensi la forza politica che l’ha completamente scalzata dalla guida del centrodestra (al punto che si parla oggi di destracentro).
Se non fosse che si tratta di persone e delle loro posizioni giuridiche rispettive, si potrebbe sorridere, pensando a quanto diceva il giornalista Antonio Padellaro qualche giorno fa in tv. L’editorialista del Fatto Quotidiano notava (dal suo punto di vista con rammarico) come difficilmente, in Parlamento, anche questa volta si concluderà qualcosa sul tema. Il motivo? I partiti, oggi come in passato, non vogliono perdere voti: il che è come dire che si dovrebbe imporre qualcosa che sarebbe privo di consenso nel Paese. La soluzione dell’aporia sembrerebbe semplice: vada contro la (presumibile) opinione prevalente chi ne rappresenta elettoralmente la parte più vasta. Ridere o piangere? Scegliete voi.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.