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Concorsi universitari truccati: un male (in)curabile?

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Philip Laroma Jezzi e il Palazzo dell'Università di Firenze

Concorsi universitari truccati, corruzione, nepotismo e chi più ne ha più ne metta. L’ennesimo caso che stavolta ha coinvolto l’università di Firenze non è più sconvolgente di quelli emersi in passato. La speranza (flebile) è che sia la goccia che fa traboccare il vaso. E che finalmente si cominci a fare piazza pulita a partire dalla denuncia di Philip Laroma Jezzi, il ricercatore di Scienze giuridiche che ha svelato i maneggi per le cattedre fiorentine a concorso, diventato anche un eroe dei social.  

Le proposte dell’Anac

È vero, non si può paragonare una cattedra universitaria a un’abilitazione per svolgere una professione. Anche perché la prima dà inizio a una carriera nella pubblica amministrazione e la seconda no. Ma perché per esempio le commissioni d’esame per l’avvocatura devono essere composte da professori universitari, magistrati e avvocati, e quelle per le cattedre universitarie solo da docenti? Intanto, l’Anac di Raffaele Cantone ha suggerito tre rimedi, contenuti nel Piano nazionale anticorruzione, da cui si potrebbe partire per cambiare le cose. In sintesi, rotazione degli incarichi professionali, criteri predefiniti di valutazione dei candidati e programmazione del reclutamento dei docenti.

Sette arresti di lusso

I casi di corruzione nel mondo universitario dicevamo non sono di per sé una notizia. Stupiscono, semmai, le misure cautelari prese in quest’occasione dai giudici verso sette cattedratici di grande prestigio. Tale mano pesante, subito edulcorata dalla concessione degli arresti domiciliari – non sia mai che il Prof debba dividere il pagliericcio con qualche spacciatore extracomunitario – deriva probabilmente dalle modalità della commissione dei reati, dalla loro serialità, dal clima di impunità che si respirava nell’ateneo fiorentino.

A ritmo di parentopoli

Una “prassi accademica” emersa in passato nelle università di Bari, Messina e Palermo. Il tutto innaffiato da una buona dose di parentopoli. Basti pensare che tra gli oltre 61mila professori italiani ci sono 7mila casi di omonimia. E tale statistica, redatta da un ricercatore matematico emiliano costretto ad emigrare negli Stati uniti per far valere la sua preparazione, necessariamente non tiene conto delle mogli dei “baroni”.

Il valzer dei concorsi universitari

Ma come uscire da questo valzer delle cattedre? Intaccando uno dei valori fondanti dell’università italiana: l’autonomia. Se è il singolo ateneo che decide quale cattedra deve essere messa a concorso e quali sono i requisiti per partecipare, è quasi impossibile non ritagliare il bando sul già prescelto. Se aggiungiamo che i commissari, altrettanto necessariamente, sono solo i professori universitari, barare diventa più che possibile.

Cambiare musica

Vedremo se le università italiane accetteranno i consigli di Cantone o continueranno imperterrite come prima. Ma forse è meglio non aspettare. È ora che il ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (sì, si chiama proprio così) stabilisca nuove regole per i concorsi universitari uguali per tutti. E soprattutto che ne controlli la corretta applicazione. 

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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