Cultura

De Gasperi a 70 anni dalla morte: lo statista “dimenticato” che ha fatto il bene dell’Italia

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Alcide De Gasperi: 70 anni fa l’Italia perdeva quello che è unanimemente considerato il maggiore statista della storia repubblicana. Mancato il 19 agosto del 1954, con i suoi funerali del 23 agosto si sono rinnovate le scene che si erano viste oltre 30 anni prima, nel 1921, quando le spoglie del Milite Ignoto avevano viaggiato dal Friuli a Roma. Come allora, anche il feretro dell’ex presidente del Consiglio, nel tragitto ferroviario da Borgo Valsugana alla Capitale, è stato fatto oggetto di cordoglio e omaggio da parte di migliaia di persone lungo i binari e presso le stazioni di mezzo Paese.

Eppure, da quando De Gasperi riposa nel nartece della basilica romana di San Lorenzo fuori le Mura, nel sacello impreziosito da una scultura di Giacomo Manzù, l’intera Nazione non sembra serbarne grande memoria. C’è certo una buona dose di fatalità in questo intorpidimento del vincolo del ricordo. Del resto, anche l’uomo politico trentino, qualche giorno prima di spegnersi, tradito dal suo cuore ormai stanco, aveva detto all’amata primogenita Maria Romana: «La nostra piccola mente umana non si rassegna a lasciare ad altri l’oggetto della propria passione incompiuto». Era, questo, un pensiero presago forse più del rischio dell’oblio che della morte stessa.

I suoi “Sì” all’Europa e alle riforme

De Gasperi è stato l’uomo di molti “Sì”, ma anche di almeno tre decisivi “No” e noi proveremo a ricordarlo attraverso queste scelte. I “Sì” dello statista corrispondono alle numerose riforme cui ha dato vita nell’immediato Dopoguerra e delle quali solo in parte ha potuto completare la realizzazione. Il primo e fondamentale assenso da lui prestato è stato quello all’Europa. Ci permettiamo, in proposito, di dissentire rispetto a chi brandisce la memoria di De Gasperi come quella di un federalista continentale contrapposto ai cosiddetti (e nemmeno sempre sedicenti) sovranisti di oggi. Lo statista democristiano, che era nato e stato suddito di un Impero cosmopolita per antonomasia come quello Asburgico, conosceva i limiti di un super-Stato. L’Europa per De Gasperi era – così, almeno, ci sembra – una comunità di valori, cultura e storia. Chi pretende di conservare, di questo patrimonio, solo la laicità ed obliterare le radici cristiane, non si capisce come possa invocare la storia, prima ancora che reclamarsi al politico trentino.

Le riforme sociali ed economiche di De Gasperi sono state innumerevoli e non è superfluo richiamarle. Dal Piano Fanfani per l’edilizia pubblica (300mila abitazioni popolari) che ha rianimato il Paese devastato dalle conseguenze della guerra, al varo della Cassa del Mezzogiorno per ridurre il divario infrastrutturale e industriale tra il Nord e il Mezzogiorno d’Italia. Dalla riforma agraria (con l’esproprio dei grandi latifondi e la distribuzione della terra ai contadini) a quella tributaria (con la legge Vanoni, che di fatto ha insegnato agli italiani che pagare le tasse è qualcosa di normale). Ultimo, ma non per importanza, il monopolio conferito alla neo-costituita Eni del partigiano bianco Enrico Mattei per la ricerca e lo sfruttamento delle risorse di idrocarburi in Pianura Padana, poste al servizio dell’industrializzazione nazionale.

La Nato e il blocco occidentale 

Una menzione a parte merita il “Sì” di De Gasperi al blocco atlantico (Nato). La specialità di questo caso sta nel fatto che, rispetto ad esso, i margini di manovra dell’Italia e di chi la guidava erano strettamente limitati.

Di fatto, anche se l’adesione all’Alleanza atlantica sotto l’egida statunitense data 1949, la collocazione internazionale del nostro Paese era stata decisa dagli Alleati sin dalla fine della Seconda guerra mondiale ed implicata dal Trattato di Parigi del 1947. Lo statista democristiano ha saputo impersonare con dignità la parte di un Paese sconfitto e a cui veniva imputata, oltre alla partecipazione alla guerra d’aggressione tedesca, l’incubazione dei fascismi.

Il no al fascismo

Veniamo ai “No” di De Gasperi. Il rifiuto è rilevante per la personalità politica, perché è sintomo di capacità di reazione. Il primo di questi rifiuti è stato quello nei confronti del fascismo. E qui non possiamo dimenticare che anche l’uomo di Borgo Valsugana, come il Partito Popolare di cui faceva parte, aveva votato la fiducia al ministero Mussolini, alla fine del 1922. Il popolarismo, inizialmente, aveva dunque condiviso la miopia della classe dirigente liberale. De Gasperi, però, si è presto riscattato. Risolutamente aventiniano, dopo l’instaurazione anche formale della dittatura (1926) ha tentato l’espatrio, subito una condanna e trovato rifugio in Vaticano. Ha accettato la completa marginalizzazione dalla vita politica, che non sarebbe terminata sino alla fine della guerra di Liberazione. La pregiudiziale antifascista è sempre rimasta decisiva per lo statista democristiano, anche quando (come in occasione delle Amministrative capitoline del 1952) il veto da lui opposto ad un’alleanza con il Msi in funzione anti-Fronte popolare gli costò un’incomprensione personale non più risolta con Papa Pio XII.

Il rifiuto opposto alla monarchia

Il secondo rifiuto di De Gasperi è quello opposto alla monarchia, in occasione dello scrutinio del referendum istituzionale del 2 giugno 1946. Non dev’essere stato facile, per lui che, al di là delle convinzioni personali, era pur sempre ancora al servizio del Re. Tuttavia, quando il ministro della Real Casa Falcone Lucifero provò a farsi latore dell’esitazione di Umberto II a riconoscere la proclamazione degli esiti della consultazione da parte della corte di Cassazione a causa di asserite slealtà governative, il presidente del Consiglio manifestò fermezza. E vergò parole rimaste famose nella loro perentorietà, a proposito dell’epilogo della parabola sabauda: «Un periodo che non fu senza dignità si conclude con una pagina indegna».

La rottura coi social-comunisti

Il terzo rifiuto degasperiano è stato quello alla prosecuzione della collaborazione governativa con i social-comunisti (il Psi di Nenni e il Pci di Togliatti) dopo l’esperienza della Costituente. Il Fronte popolare sarà sconfitto nella battaglia elettorale campale del 1948 e poi ancora nel 1953, quando per poco non scattò il premio di maggioranza della contestatissima “legge truffa” (che prevedeva un rafforzamento in seggi della maggioranza assoluta già acquisita in voti). Si è detto che siano stati gli Usa ad imporre alla Dc la rottura dell’unità antifascista, quasi come una condizione per l’erogazione dei fondi del Piano Marshall. Preferiamo, invece, scorgervi la lungimiranza che viene generalmente riconosciuta a De Gasperi: quella scelta ha accelerato la separazione dei socialisti dai comunisti e il riavvicinamento dei primi alla prospettiva di governo, sulla base della condivisione dei principi di libertà e dello Stato di diritto.

Cireneo della croce partitica e…

Alcide De Gasperi è stato un grande italiano, oltreché un vero europeo e un coscienzioso ed efficace uomo di governo. Se proprio dobbiamo trovare un difetto alla sua esperienza al Viminale (la presidenza del Consiglio si sarebbe trasferita a palazzo Chigi solo nel 1961), noi lo riscontriamo nell’avere accettato di presiedere 8 governi in 8 anni, sia pure tutti consecutivi (1945-1953). Scorgiamo in quella disponibilità una dose di rassegnazione al peso del particolarismo politico, che nuoce ancora oggi non poco alla causa nazionale.

La Fondazione che porta il nome di De Gasperi ha organizzato, nel contesto del Meeting di Rimini in corso, una mostra a lui dedicata, dal titolo: “Servus inutilis” (Lc 17, 10). Questo esigente richiamo all’umiltà evangelica ci ricorda l’altra eccellenza dello statista trentino: la profonda fede cristiana vissuta con serietà e sobrietà, doti per cui la Chiesa ne studia da tempo il possibile itinerario verso gli altari.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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