Piacenza

Le eccellenze Dop piacentine: un vademecum per conoscerle meglio ed evitare figuracce

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Dop, ovvero Denominazione di origine protetta: per quanto impensabile a Piacenza, abbiamo capito che serve un piccolo ripasso sul tema. Pertanto, dedichiamo all’argomento qualche riga a beneficio della valorizzazione enogastronomica del territorio, oltreché di un certo legittimo orgoglio piacentino.

Ma cos’è una Dop?

Con Denominazione di origine protetta s’intende un nome che identifica un prodotto originario di un luogo le cui qualità e caratteristiche sono legate a un particolare ambiente geografico e ai suoi intrinseci fattori naturali e umani, con fasi di produzione che si svolgono nella zona geografica delimitata. La Dop nasce col Regolamento (CE) 2081 del 1992 per tutelare i prodotti della tradizione da fenomeni imitativi e per soddisfare la ricerca del consumatore di alimenti di qualità legati alla tradizione e a un’origine identificabile. Per potersi fregiare del marchio, i prodotti commercializzati devono sottostare a un rigido iter di riconoscimento e controlli da parte degli enti di certificazione che operano sotto la vigilanza del ministero dell’Agricoltura.

I prodotti Dop sono ben diversi dagli Igp (Indicazione geografica protetta), che identificano per esempio la coppa dei vicini parmensi: per i Dop tutto il processo produttivo, dalla materia prima all’elaborazione finale, fa riferimento all’area di denominazione; mentre per gli Igp è sufficiente che una sola delle fasi tra produzione, trasformazione ed elaborazione della materia prima sia collegata alla zona d’origine.

Sono “solo” 3, oppure…

Sfatiamo subito la falsa credenza con la quale ci penalizziamo da soli: i prodotti Dop che il nostro territorio può produrre non sono tre, come quasi sempre si dice, bensì 5 (e tralascio i vini, che pur distinti come Doc ricadono nelle Dop).

Parliamo dei tre arcinoti (non per tutti a quanto pare…) salumi Coppa piacentina Dop, Pancetta piacentina Dop e Salame piacentino Dop, ai quali si aggiungono due perle dell’arte casearia come il Grana Padano Dop e il Provolone Valpadana Dop.

A proposito delle Denominazioni dedicate ai salumi, identificano produzioni esclusivamente piacentine, mentre quelle dei due formaggi comprendono più province, ma è un errore, non solo formale bensì strategico, dimenticarle, perché maggiore è il numero dei prodotti Dop di un territorio e maggiore è la ricchezza dello stesso e l’offerta di qualità su cui contare.

Dalla storia ai giorni nostri

La produzione di carni di suino conservate è una pratica antica di secoli: nel Medioevo, per la macellazione, occorreva la presenza del notaio che certificava il peso dell’animale non inferiore a 250 chilogrammi (oggi è ben diverso…). Una pratica talmente importante da essere ripresa in diverse opere d’arte: tra queste ci restano i mosaici pavimentali risalenti al XII secolo delle chiese di San Savino, a Piacenza, e di San Colombano a Bobbio, dove veniva rappresentata la pratica della macellazione collocandola nel mese di dicembre, adatto grazie alle temperature rigide.

Per le carni lavorate si costituì una specifica categoria di venditori: i “lardaroli” aggregati alla corporazione dei formaggiai, dando vita al “Paratico dei formaggiai e lardaroli” ribattezzati “Bottegai”. Già all’epoca le nostre produzioni erano apprezzate fuori dai confini locali; fama che nel 1700 giunse alla Corti di Francia e di Spagna, grazie al cardinale piacentino Giulio Alberoni il quale ricorreva ai prodotti piacentini nei suoi rapporti diplomatici per accattivarsi le simpatie dei personaggi più influenti. Oggi la Dop indica esclusivamente prodotti lavorati in salumifici riconosciuti della provincia di Piacenza a partire da suini del solo territorio di Emilia-Romagna e Lombardia.

Parlando di formaggi

L’arte dei casari è già presente nell’anno Mille; prima formaggi a pasta morbida per conservare il latte e le sue proteine, poi stagionati, appena ci si rese conto che i principi nutritivi del latte restavano intatti.

Il Grana, formaggio che probabilmente vede i natali tra Lodi e Piacenza, ha avuto grande notorietà come Formaggio Piacentino: il più antico trattato sui formaggi – la Summa Lacticiniorum di Pantaleone da Confidenza del 1477 – gli dedica un capitolo intero, definendolo senza eguali in termini di gusto e secondo solo alle produzioni britanniche in termini di salubrità. Oggi il Consorzio di tutela Grana Padano Dop conta 128 produttori in diverse zone di Lombardia, Veneto, Emilia Romagna,Trentino Alto Adige e Piemonte

Quello attualmente chiamato Provolone Valpadana Dop nasce con l’unità d’Italia dal connubio tra cultura casearia delle “paste filate”, del meridione, e vocazione lattiero-casearia della valle padana. È un “formaggio semiduro a pasta filata prodotto con latte intero da vacche allevate esclusivamente nella zona di produzione selezionata”: sono provole di grandi dimensioni, distinguibili rispetto alle altre paste filate diffuse al sud, capaci di stagionare a lungo senza asciugarsi eccessivamente e senza diventare quindi formaggio da grattugia.

Annovera due versioni: dolce e piccante, che in seguito può essere declinato in affumicato o piccante stagionato; modellato in diverse forme, va da alcuni etti a oltre 100 chili. Per fregiarsi della Denominazione di origine protetta necessita di tracciabilità dell’intero processo di produzione: anche l’alimentazione del bestiame deve seguire precisi criteri. In Emilia-Romagna, Piacenza è l’unica provincia a poterlo produrre.

Una “spolverata” su…

Queste poche righe sono solo una panoramica sulle eccellenze di cui andar orgogliosi, ma soprattutto da valorizzare in ogni modo per far crescere il territorio. Notizie sui nostri Dop, giusto una leggera spolverata come quella di Grana che valorizza tortelli, anolini e pisaréi: anche queste eccellenze della tradizione, ma che nulla – se non per qualche ingrediente – hanno a che fare con le Dop piacentine.

Sante Lancerio
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