Francia: la Quinta Repubblica è alle prese con un tornante importante, forse decisivo della sua storia. I risultati delle elezioni legislative di una settimana fa, che hanno consegnato al Paese un’Assemblea nazionale priva di una maggioranza precostituita, rappresentano un inedito.
Le istituzioni volute dal generale de Gaulle hanno retto allo stress della “coabitazione”, cioè la concorrenza di due maggioranze diverse, l’una presidenziale e l’altra parlamentare. In quel caso, il “monarca repubblicano” che risiede all’Eliseo è costretto ad una diarchia con l’inquilino di Matignon, il primo ministro. È accaduto tre volte: nel 1986 (Mitterrand-Chirac), nel 1993 (Mitterrand-Balladur) e nel 1997 (Chirac-Jospin). Quindi, è intervenuta una limitata riforma costituzionale che, incrociandosi con le scelte politiche dei francesi, ha evitato la convivenza istituzionale, al vertice del potere esecutivo, di esponenti appartenenti ad orizzonti politici differenti.
Adesso, però, che Emmanuel Macron è costretto non alla coabitazione, ma a cercare maggioranze occasionali, ovvero alla “grande coalizione”, che ne sarà della Cinquième? I cugini d’Oltralpe volteranno le spalle al regime varato dall’eroe del 1940 e padre costituente del 1958? Per farci un’idea, dobbiamo cominciare con un po’ di storia.
La République, una cosa molto seria
Quinta Repubblica: questi due termini designano l’attuale forma di governo francese. Partiamo dal secondo. La République: quando i francesi pronunciano questa parola, si sentono più patrioti (e, agli altri, sembrano più sciovinisti) che mai. Sì, perché la Repubblica in senso moderno è una loro creatura.
La République è un tutt’uno con la Rivoluzione del 1789. Il suo motto, infatti, è il medesimo: Liberté, Égalité, Fraternité. Così si esprimeva proprio Charles de Gaulle quando, il 4 settembre 1958, nell’omonima Piazza della Repubblica a Parigi, domandò ai francesi di votare “Sì” al referendum, che avrebbe concluso tre settimane dopo per l’adozione della nuova Costituzione: «Nel bel mezzo del dramma nazionale e della guerra portata dall’estero, apparve la Repubblica. Essa era la sovranità del popolo, la chiamata alla libertà, la speranza della giustizia». Quando in Francia si nomina la Repubblica, si dice più di una forma istituzionale: s’intende la vetta del genio storico e civico nazionale.
Dal 1792 al 1958
Veniamo all’aggettivo ordinale: Quinta. Dobbiamo, quindi, passare in rassegna le quattro precedenti fogge della République.
- La Prima fu quella del 1792, non ufficialmente proclamata, ma conseguenza naturale dell’abolizione della monarchia, votata all’unanimità dai deputati della Convenzione. Durerà anche sotto il Direttorio e il Consolato, fino all’auto-proclamazione imperiale di Napoleone, nel 1804.
- La Seconda Repubblica, la più breve di tutte, pose fine alla «Monarchia di Luglio» di Luigi Filippo d’Orléans, nel 1848. Nata sulle barricate e sotto i più classici auspici rivoluzionari, cioè radical-socialisti, fu presto impugnata dal suo presidente Luigi Napoleone, che, emulo del più celebre e grande zio, la liquidò con il colpo di Stato del 2 dicembre 1851, poi ratificato dal plebiscito del 20 dicembre. Una curiosità: il futuro Napoleone III (proclamato tale, insieme al Secondo Impero, il 2 dicembre 1852) è stato in assoluto il primo presidente della Repubblica Francese. Infatti, il regime rivoluzionario non aveva mai eletto un capo dello Stato repubblicano.
- La Terza Repubblica sorse sulle ceneri della disfatta francese di Sedan per mano prussiana, nel 1870. L’esilio di Napoleone III, fatto prigioniero da Bismarck, lasciò spazio al regime che ebbe come primo presidente Adolphe Thiers, già ministro di Luigi Filippo. La Terza, che durò fino al governo collaborazionista del maresciallo Philippe Pétain nel 1940, dovette subito stroncare, con l’aiuto tedesco, l’esperimento della Comune parigina, dai cui umori sortirono le parole del più celebre degli inni rivoluzionari, l’Internazionale.
- La Quarta Repubblica fu breve quanto la Prima: instaurata nel 1946, con la completa disapprovazione di de Gaulle (che abbandonò il governo e la scena, iniziando la sua personale «traversata del deserto»), ebbe termine nel 1958. La ribellione algerina, fomentata dai militari d’oltremare che non volevano l’indipendenza della colonia africana, spaventò il presidente René Coty e i politici del tempo. Ricorsero, così, a de Gaulle, che accettò d’intervenire, sotto condizione dell’approvazione popolare di un nuovo regime più forte e stabile, che egli preconizzava fin dall’immediato dopoguerra.
Il sistema attuale
La Quinta Repubblica consiste in quello che è stato chiamato “semipresidenzialismo”. L’attenuazione non inganni i digiuni di costituzionalismo. In realtà, il regime francese, disegnato da de Gaulle su misura della Francia e di se stesso, è più sbilanciato nel senso del capo dello Stato di quanto non sia una forma presidenziale pura, come quella statunitense. Infatti, nel sistema americano, Presidente (e amministrazione) e Congresso sono come due parallele, dal punto di vista dell’intangibilità reciproca dei mandati. Il capo della Casa Bianca non può sciogliere l’assemblea di Capitol Hill, il congresso non può costringere l’amministrazione né alle dimissioni, né a rimaneggiamenti più o meno estesi (i nostri “rimpasti”).
Il sistema francese, architettato dal guardasigilli costituente Michel Debré, designa, da una parte, un dominio assolutamente riservato del presidente, che è quello della politica estera e della difesa. Dall’altra, per quanto riguarda il resto delle decisioni nazionali, interpone tra il capo dello Stato e la responsabilità politica diretta il primo ministro e il Governo, che sono responsabili davanti all’Assemblea nazionale. Attenzione: non che questi ultimi procedano dal Parlamento, in quanto, per entrare in carica dopo la nomina presidenziale, non hanno bisogno di alcuna fiducia assembleare. L’Assemblea, però, può costringerli alle dimissioni, rimettendo la questione all’Eliseo. Il presidente può, allora, nominare di nuovo lo stesso primo ministro, cambiarlo insieme ad uno o più ministri, ovvero sciogliere Palais Bourbon ed indire le elezioni legislative anticipate. Il capo dello Stato tratta almeno alla pari con il Parlamento da quando, con il referendum del 1962, ne è stata introdotta l’elezione diretta a suffragio universale, originariamente non prevista dalla Costituzione del 1958.
Palla al presidente
Il mandato presidenziale, inizialmente di 7 anni, è stato abbreviato a 5 anni nel 2002. Questa riforma, annullando la sfasatura temporale dei due mandati (del presidente e dell’assemblea), ha sì escluso ulteriori casi della già descritta coabitazione. Una settimana fa, però, il Paese si è trovato privo di qualsiasi maggioranza precostituita in Parlamento. La soluzione, da noi ricorrentemente ed anche attualmente sperimentata, della “grande coalizione” è sostanzialmente impraticabile in Francia, per una serie di motivi. Non ultimo, tra questi, il perdurante ostracismo nei confronti della destra frontista dei Le Pen, che pure ha riportato un grande successo alle legislative (passando da 8 ad 89 deputati).
De Gaulle volle un sistema che tenesse conto del radicato senso nazionale dei francesi e della loro non meno tradizionale propensione al ripiegamento sulle divisioni interne. Il presidente è la chiave di volta del sistema, contro qualsiasi tentazione di ritorno al regime d’assemblea. La mancanza di una maggioranza coerente e autosufficiente in Parlamento, però, rimette anche suo malgrado l’Assemblea nazionale al centro del sistema, come problema per il Paese. Spetterà, ancora una volta, a “monsieur le Président” fare funzionare le istituzioni. Del resto, diversamente dai monarchi costituzionali ancora sui troni, egli è effettivamente un “re” che governa.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.