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G20 di Roma: sulla lotta ai cambiamenti climatici solo un buco nell’acqua

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G20 di Roma, non ci sono mezze parole: per la lotta ai cambiamenti climatici è stato una delusione. Un buco nell’acqua. Come quello fatto dalle monete gettate dai leader immortalati di spalle alla Fontana di Trevi.

Il vertice tenuto a Roma tra i rappresentanti dei Paesi più importanti del pianeta doveva essere un passaggio chiave. Quello che nelle aspettative di molti avrebbe segnato una svolta sulle emergenze ambientali, in primis appunto nella lotta ai cambiamenti climatici. Invece così non è stato. Un risultato insoddisfacente perché l’obiettivo di limitare l’aumento a 1,5 gradi della temperatura globale è stato sì confermato, ma senza stabilire una data chiara per raggiungerlo, solo con una generica indicazione attorno alla metà del secolo. E senza fissare per tutti una serie di impegni chiari e perentori da attuare al più presto.

Niente di nuovo

In sostanza, niente di più rispetto agli obiettivi dall’Accordo di Parigi del 2015, che aveva fissato l’inizio della riduzione dei gas serra a partire dal 2020. Questo soprattutto per i veti di Cina, Russia, India, Indonesia, Australia e Arabia Saudita. Così, dopo sei anni pieni di segnali negativi sul piano climatico e ambientale, invece di accelerare, prendendo decisioni significative ed efficaci contro il surriscaldamento della Terra, di fatto si annacquano gli impegni per giungere alla neutralità delle emissioni di CO2.

Come mai questa valutazione così negativa sul G20 romano? Perché stiamo parlando dei Paesi responsabili del 78% delle emissioni globali di gas serra, come ha sottolineato il Wwf. Dei Paesi più avanzati (e inquinati) del pianeta, dove in media sia arriva solo al 30% dell’elettricità prodotta da fonti rinnovabili, a partire dal nulla dell’Arabia Saudita (1%) o dal poco dell’Australia (25%).

Ma c’è un altro elemento emblematico per capire quanto siamo indietro nella lotta alle emergenze ambientali e ai cambiamenti climatici, proprio dove si deve agire al più presto e dove si possono ottenere i risultati più significativi. Un elemento di valutazione che arriva da una misura “strombazzata” da Roma come risultato eclatante: la fine dei contributi pubblici a partire dal 2022 per la costruzione delle inquinanti centrali a carbone. Sì, proprio così, in molti dei Paesi del G20 se ne costruiscono ancora a pieno ritmo, nel segno di un chiaro menefreghismo ambientale.

Da Roma a Glasgow

Adesso i riflettori sono puntati sulla Cop26, la 26ª Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici aperta ieri a Glasgow, che dai Paesi del G20 aspettava un cambio di marcia di fatto non pervenuto. La speranza, come scrive Legambiente, è che “i grandi del pianeta riescano a trovare un’intesa per arrivare a un nuovo e ambizioso accordo per il clima in grado di mantenere vivo l’obiettivo di 1,5 gradi centigradi dell’Accordo di Parigi; ma anche per accelerare l’adattamento ai cambiamenti climatici, far fronte alle perdite e ai danni delle comunità più colpite dall’emergenza”. E soprattutto per “finanziare adeguatamente l’azione dei Paesi poveri e completare il Rulebook, ossia le norme attuative dell’Accordo di Parigi, per renderlo finalmente operativo”.

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Giovanni Volpi, giornalista professionista, è il direttore del Mio Giornale.net. Ha iniziato al Sole-24 Ore nel 1993. Dieci anni dopo è passato in Mondadori, a Tv Sorrisi e Canzoni, dove ha ricoperto anche il ruolo di vicedirettore. Ha diretto Guida Tv, TelePiù e 2Tv; sempre in Mondadori è stato vicedirettore di Grazia. Ha collaborato con il Gruppo Espresso come consulente editoriale e giornalistico dei quotidiani locali Finegil.

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