Gerusalemme e Donald Trump. Il riconoscimento unilaterale della città santa come capitale dello Stato ebraico è stato un autentico coup de théâtre. Lo spariglio dei giochi, nel punto tradizionalmente più caldo del Medio Oriente, è assicurato. Resta da capire – ed è un modo di dire – a chi giovi quest’uscita, in questo momento. Infatti, c’è più di un motivo per credere che le cose non stiano esattamente come sembrano.
Prima, però, è bene fare un punto su Gerusalemme. E sul ruolo che la definizione del suo status riveste, nell’eterno conflitto fra israeliani e palestinesi. Partiamo dalla Prima guerra mondiale, perché è allora che sono cominciati i guai odierni.
Gerusalemme: dal mandato britannico…
Nel 1917, i britannici occuparono Gerusalemme, soggetta dal XVI secolo al dominio ottomano. Le spoglie dell’impero turco, sconfitto e smembrato, furono spartite fra Gran Bretagna e Francia. Il governo di Sua Maestà ottenne il mandato sulla Palestina. Lungo questo periodo, durato fino al 1947, i britannici (benché non sempre volentieri) hanno incoraggiato l’immigrazione ebraica. Ciò è avvenuto a danno della popolazione araba, immediatamente ostile ai nuovi arrivati. Quando la questione è passata in mano all’Onu, nel secondo dopoguerra, Gerusalemme non ha costituito subito un problema centrale. E le Nazioni Unite l’hanno dichiarata territorio internazionale, in considerazione del suo rilievo interreligioso.
…alla Guerra dei Sei giorni
Insomma, Gerusalemme non è dal 1948 la capitale d’Israele. Anzi: lo stesso Ben Gurion, padre del sionismo e dello Stato, non vi ha annesso a suo tempo grande importanza. Già nel 1950, però, essa è stata dichiarata capitale, limitatamente alla parte occidentale. Solo nel 1967, dopo la vittoriosa Guerra dei Sei Giorni, Israele ha riunificato la città sotto il proprio dominio. L’annessione della parte orientale non è stata riconosciuta dalla comunità internazionale. Da subito, comunque, lo Stato Ebraico si è impegnato a garantire l’agibilità dei luoghi santi. Nel 1980, Israele ha dichiarato Gerusalemme completa e unita come propria capitale. L’Onu e la pressoché totalità degli Stati non la riconoscono tale e mantengono le loro ambasciate a Tel Aviv.
Mossa tattica, ma la strategia qual è?
Torniamo a Trump. Perché, ora, il riconoscimento unilaterale di Gerusalemme capitale? E in quale strategia s’inserisce questa mossa? Il presidente ha detto di aver dato corso a una decisione presa dagli Usa nel 1995 e poi sempre differita. È difficile, però, credere che si tratti soltanto di questo.
Cominciamo col dire che quest’annuncio tutto sembra, fuorché parte di un piano. Nessuno che voglia affrontare un problema complesso e tragico come il conflitto arabo israeliano partirebbe dalla fine, anziché dall’inizio. C’è spazio per due Stati? A quali condizioni Israele sarebbe disposto ad accettarne uno arabo, compenetrato con esso? Come comporre la ricchezza e la forza degli israeliani con la preponderanza demografica dei palestinesi? Che ne sarà degli insediamenti dei coloni ebrei? E dei palestinesi fuoriusciti? Trump, limitandosi a dire di riconoscere Gerusalemme, non dà risposta a nessuna di queste domande. E riaccende drammaticamente gli scontri.
Ambasciata a Gerusalemme Ovest
L’idea che l’uscita del presidente trasmetta più che altro una sensazione d’improvvisazione è condivisa dai principali think thank statunitensi. Questi ultimi rimarcano poi l’altro nodo della questione, cioè l’effettivo seguito che sarà dato all’annuncio dei giorni scorsi. Il trasferimento dell’ambasciata Usa, quando avverrà, sarà comunque a Gerusalemme Ovest. Resterà intatto il problema della parte orientale della città, in cui l’Anp sogna d’installarsi come governo palestinese.
Politica estera al servizio di quella interna
E allora, per quale motivo Trump si è mosso in questo modo? Entrambe le spiegazioni più logiche rimandano, come sempre nel caso del tycoon, a ragioni di politica interna.
Da una parte, con il Russiagate sempre più incombente e minaccioso, Gerusalemme sembra fungere da arma di distrazione di massa. Fino al primo ok del Congresso al taglio delle tasse, il 2017 era stato avaro di successi per la Presidenza. E la politica estera non è andata meglio. D’altra parte, blandire la comunità ebraica americana è sempre utile per chi occupa la Casa Bianca. E quando l’inquilino è un repubblicano, ai motivi d’interesse si aggiungono le suggestioni religiose, incarnate da neocon e cristiani sionisti.
Usa sempre più soli e meno affidabili
I problemi dell’America, comunque, sono l’isolamento e la perdita di centralità sullo scacchiere mondiale, che le scelte di Trump comportano. Onu, Unione europea, Russia, Turchia e Lega Araba hanno condannato l’ultima decisione del presidente Usa. E sempre meno persone credono, nel mondo, che gli Stati Uniti siano ancora il perno della stabilità internazionale.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.