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Giacomo Matteotti, 100 anni fa vittima del fascismo: due insegnamenti per l’Italia di oggi

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Giacomo Matteotti: 100 anni fa, il deputato socialista cade vittima di un manipolo di squadristi fascisti, la cui arma bianca è ispirata direttamente da Benito Mussolini, che si può dire proprio in qualità di mandante politico di quel delitto si trasforma da presidente del Consiglio in Duce. Il 10 giugno 1924 con l’eliminazione fisica del più noto e coraggioso oppositore parlamentare del fascismo, hanno fine le residue possibilità per il Paese di riguadagnare le vie del diritto e della democrazia. Questo, almeno, è quello che viene da dire e spesso, infatti, si è letto e sentito.

In realtà, probabilmente, quelle speranze non erano concrete. La Corona e buona parte della più influente classe dirigente dello Stato liberale, oltre ad un ben individuato blocco sociale (quello agrario), avevano già fatto la loro scelta. Convinti che in un Paese socialmente arretrato come l’Italia del tempo, dopo la cesura della Grande Guerra, una svolta autoritaria fosse fatale, la loro opzione si volse senza esitazione verso i Fasci. L’alternativa, altrettanto illiberale nella sostanza, sarebbe stata incompatibile con la permanenza dello status quo anche nella forma. L’esempio bolscevico della Rivoluzione d’Ottobre non dava scampo: il fascismo appariva, nella peggiore delle ipotesi, il male minore.

Legalità, libertà ed eroismo

Nel deserto di risolutezza morale e di senso storico, politico e nazionale del giovane e fragile Stato unitario, preda dell’allucinazione demagogica mussoliniana (che tra retorica, dilettantismo e interessi personali, condusse poi il Paese alla catastrofe della sconfitta nella Seconda guerra mondiale), si staglia l’esempio fulgido ed eroico del figlio di Fratta Polesine e deputato di Ferrara.

Esempio fulgido, perché Matteotti non ha mai deflesso dal rispetto della legalità e dalla difesa delle libertà, a costo di un crescente isolamento anche all’interno del suo schieramento politico. Inviso, ovviamente, ai comunisti, “Tempesta” (così era stato soprannominato dai compagni di lotta per la veemenza del suo impegno), deputato dal 1919 e due volte rieletto nel 1921 e nel 1924, era stato espulso dal Psi, insieme ai riformisti di Filippo Turati e Claudio Treves. Con questi e con un giovane Sandro Pertini, Matteotti aveva dato vita nel 1922 al Partito Socialista Unitario, di cui era stato nominato segretario. Non trascurabile il risultato di questa formazione alle elezioni plebiscitarie fasciste del 1924 (sotto il vigore della legge elettorale Acerbo) in cui, per la prima e unica volta nella storia italiana, una formazione non comunista prevalse nella (pur fallimentare) competizione a sinistra.

Quello di Giacomo Matteotti è stato, però, anche un esempio eroico, perché non si è sottratto al martirio, cioè alla più alta forma di testimonianza resa agli ideali in cui credeva. Gli eroi ci sono e ci sono sempre stati. I pavidi pure e sono molti di più. L’eroismo (consistente nel saper mettere la propria stessa vita dietro a qualcun altro o qualcos’altro) è per pochissimi, è vero. Eppure, esso ha e deve sempre più avere, possibilmente, un’attitudine esemplare a beneficio di tutti. Infatti, ricordare e anche solo citare Matteotti equivale a rinnovarne la testimonianza ai valori di giustizia e libertà.

Il nodo della guerra

L’odierna ricorrenza centenaria del martirio matteottiano impone, nella misura in cui spontaneamente suggerisce, alcune riflessioni. Anzitutto, che la vicenda del nostro ne contiene una molteplicità di altre. Accanto alla parabola personale, c’è la storia dell’Italia e dell’Europa del tempo. Ci sono le differenze e le scissioni nella sinistra, male atavico per quest’ultima. C’è il mai sufficientemente approfondito rapporto tra il fascismo e le sue origini nel socialismo, come attesta anzitutto la storia personale di Mussolini.

Per venire a considerazioni che risuonano, per quanto infelicemente, con l’attualità, come non pensare alla guerra? Si trattava certo, come di un mondo, così di una specie di conflitto radicalmente diverso rispetto a quelli odierni, che pure tornano a lambire i confini europei. Nondimeno, di fronte all’alternativa tra interventismo e neutralismo, come pure alla lettura in chiave internazionalista e pacifista ovvero patriottica e bellicista delle tensioni internazionali, non solo l’opinione pubblica, ma le stesse formazioni politiche e le personalità istituzionali si dividevano aspramente. Matteotti è stato sempre e convintamente pacifista e neutralista.

L’inadeguatezza del Re 

Non si può omettere un passaggio sulle responsabilità del Re, a seguito prima del rapimento e poi del ritrovamento dei resti di Giacomo Matteotti (due mesi dopo), nonché del processo-farsa che ne seguì. Detto che Vittorio Emanuele III aveva già fatto anzitempo la sua scelta di più che semplice tolleranza per le violenze fasciste, l’omicidio del deputato più in vista dell’opposizione parlamentare e la successiva rivendicazione politica e morale mussoliniana anche di questo delitto (con il celebre discorso del 3 gennaio 1925 a Montecitorio) misero a nudo tutta l’inadeguatezza del monarca.

Più ancora, il delitto Matteotti ha segnato un punto di non ritorno nello svelamento della tempra solo tiepidamente liberale della Corona d’Italia. Il sovrano ha accettato di pagare il prezzo della negazione dei più elementari diritti civili e politici e coprire persino la commissione di omicidi mirati, pur di non dovere temere la perdita del trono. Il Re è apparso, così, inconsapevole che questa condotta lo aveva già privato di ogni effettiva sovranità: né monarca governante (avendo, anzi, progressivamente accettato la diarchia), né più monarca costituzionale, era diventato un personaggio in cerca d’autore. L’ardore patriottico e, specie in alcune zone del Paese, anche monarchico, che aveva alimentato l’aura del Re Soldato nel 1915-1918, era presto scolorito in pallidi ricordi.

Matteotti e l’Italia di oggi

Dei tanti spunti di riflessione suscitati da questa ricorrenza centenaria, noi scegliamo, in conclusione, di ritenerne due. Va da sé che siano quelli che ci sembrano più utili ad orientarci oggi.

Il primo è l’insegnamento istituzionale. Matteotti è stato testardamente (oltreché eroicamente) assertore del carattere istituzionale e, dunque, legalitario dell’impegno politico. È un ammonimento opportuno sia per chi fosse tentato da scorciatoie avventuristiche (sebbene oggi difficilmente le “teste calde” abbiano vocazione politica), sia per quanti pretendessero di idolatrare una determinata forma storica delle istituzioni e, così, puntare ad escludere l’agibilità di principio e democratica di intraprese costituenti.

Il secondo è un insegnamento civico e nazionale. Giacomo Matteotti, come altri eroi anche del nostro tempo, è stato tanto squalificato e isolato in vita, quanto reclamato come proprio in morte dalle stesse correnti d’opinione, per non dire dalle medesime persone. Per far sì che la sua testimonianza non si esaurisca in un effimero primato nella toponomastica, l’impegno da prendere è quello di attenuare la faziosità preconcetta dei nostri atteggiamenti e, prima ancora, della nostra disposizione mentale alla politica. La nostra è una Repubblica, dal latino res publica, cosa comune: tanto degli eroi come Matteotti, quanto delle italiane e degli italiani normali.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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