Ilaria Salis: il caso della cittadina italiana detenuta in Ungheria ed esibita come un galeotto d’antan davanti alle telecamere, con tanto di ceppi a mani e piedi e catena a mo’ di guinzaglio in vita, ci dice parecchie cose. Nelle ultime ore, contatti diretti tra il primo ministro ungherese Viktor Orbán e la sua omologa italiana Giorgia Meloni aprono spiragli di ottimismo. Il leader di Budapest assicura interessamento per un trattamento equo e garantisce il rispetto dei diritti e delle procedure, mentre il suo portavoce accusa i media italiani di volere inscenare un dramma inesistente per guastare i rapporti amichevoli tra i due governi.
Andiamo per gradi e cominciamo da ciò che sappiamo dei fatti. Quindi, proveremo a ragionarci su, offrendo i nostri spunti di riflessione.
Neonazisti e sedicenti partigiani
La maestra elementare di Monza è un’attivista politica che, l’anno scorso, ha pensato di partire per andare a contrastare una manifestazione di estrema destra in Ungheria. Tra il 9 e il 12 febbraio di ogni anno, Budapest è meta degli attivisti destrorsi di tutta Europa che commemorano un battaglione nazista che nel 1945 si oppose all’Armata Rossa. Già questo dice molto: negli anni 20 del XXI secolo c’è chi va all’estero per celebrare dei nazisti e c’è chi fa altrettanto per contestare quanti rimpiangono la svastica.
Succede che l’11 febbraio 2023, nell’ambito delle sedizioni a cui i facinorosi davano vita per le strade, due manifestanti di destra siano stati presi a manganellate, calci e pugni da un gruppo di avversari, resisi debitamente irriconoscibili. La circostanza è stata comunque ripresa da delle telecamere, che registrano cinque “democratici” che randellano due neonazisti (prognosi di 5 giorni). Secondo l’accusa ungherese, una dei cinque sarebbe Salis, arrestata due giorni dopo il fatto. Da allora, la cittadina italiana è detenuta in Ungheria, con l’accusa di lesioni personali e associazione terroristica. Avendo rifiutato il patteggiamento (pena prevista: 11 anni), rischia una condanna a 24 anni di reclusione (8 anni ciascuno per i due reati, più altri 8 previsti come aumento per il cumulo).
Le rivendicazioni di Ilaria Salis
Contestano tutto Ilaria Salis, la sua famiglia e i suoi legali. In primo luogo, la colpevolezza: l’italiana nega di essere uno dei cinque aggressori. Quindi, lamentano la compressione dei diritti di difesa (inaccessibilità agli atti tradotti almeno in inglese, negazione di colloqui riservati con i difensori) e le condizioni degradanti del regime di carcerazione preventiva (mancanza di spazi, igiene compromesso addirittura dalla convivenza con insetti, vessazioni del personale carcerario). L’amministrazione penitenziaria ungherese contesta la veridicità di queste denunce.
Quello che non è contestabile è la partecipazione della detenuta in udienza incatenata mani e piedi, coi fianchi cinti da una cintura di cuoio tenuta da un’agente attraverso una catena metallica. Il tutto, in favore di pubblico presente in aula e telecamere, è avvenuto il 29 gennaio scorso.
Salis e famiglia accusano anche di incomprensibile inerzia l’Ambasciata d’Italia a Budapest e qualcosa che non è andato dev’esserci stato per forza. Altrimenti, il caso non avrebbe languito per quasi un anno, senza alcun apparente progresso sostanziale sotto nessun punto di vista (garanzie processuali, condizioni di detenzione, sproporzione tra fatti contestati, loro qualificazione e richieste di condanna).
La vergogna delle catene e l’Unione europea
Veniamo alle considerazioni. Prima di tutto, non si può non rilevare l’inaccettabilità assoluta della riduzione in catene e della conseguente esibizione in pubblico di una detenuta. Il rispetto della dignità delle persone private della libertà dall’autorità pubblica è un ineludibile parametro di civiltà giuridica. E senza retorica, di civilizzazione.
A margine, ma non troppo, ci sembra non si possa evadere un’ulteriore questione. L’allargamento smisurato dell’Unione europea rappresenta anche – per non dire soprattutto – un problema. L’Ungheria, sia chiaro, fa parte storicamente e non solo fisicamente dell’Europa. E, d’altra parte, anche noi italiani e i francesi, ad esempio, non brilliamo per l’esemplarità dei nostri circuiti penitenziari. Nondimeno, il ritorno ai metodi coercitivi del peggiore Ancien Régime non può avere cittadinanza in Occidente, dopo i lumi e Beccaria. Per quanto riguarda poi i confini dell’Unione, è sempre più urgente domandarsi a chi giovi la loro incessante espansione. Per assecondare i desiderata al di qua e soprattutto al di là dell’Atlantico, la selezione si fa sempre più indulgente, ma questo non può essere senza conseguenze.
Da Orbán, via Bruxelles, a Meloni e FdI
Passiamo a Orbán. È noto quanto siano tesi i rapporti del primo ministro ungherese con l’establishment europeo, a causa della sua tiepidezza per l’opzione anti-russa e filo-ucraina e per le reiterate contestazioni relative alla violazione dello Stato diritto nel suo Paese. Il secondo profilo di frizione non sembra estraneo all’affaire Salis, soprattutto perché, a Budapest, Strasburgo e Bruxelles contestano la mancata separazione dei poteri e, quindi, proprio la scarsa indipendenza della magistratura dal potere politico. È di questi giorni una fuga di notizie da parte di sherpa della Commissione europea, secondo cui i 26 Stati Ue starebbero per ricattare esplicitamente l’Ungheria con i fondi europei: o leva i veti che ha lasciato ancora in piedi (contro il sostegno militare a Kiev e l’ingresso della Svezia nella Nato), oppure addio sovvenzioni comunitarie.
Il caso di Ilaria Salis chiama in causa direttamente Orbán anche per un altro motivo, e cioè l’affinità politica (e l’amicizia personale) che condivide con la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni. Fidesz, il partito del capo del governo magiaro, è in attesa di entrare nel gruppo dei Conservatori europei (Ecr), presieduto dalla stessa Meloni. Sembra, però, il caso di non dimenticare come Orbán, sino al marzo 2022, facesse parte con il suo movimento del Partito Popolare Europeo (Ppe), uno degli storici soci di maggioranza della politica continentale. Difficile che per 10 anni il gotha europeo e le cancellerie nazionali non l’avessero conosciuto, o riconosciuto.
Se teniamo al Paese e agli italiani…
Per quanto riguarda i risvolti di politica interna della vicenda di Ilaria Salis, è chiaro che la sua strumentalizzazione contro Meloni e il Governo è un classico quasi quotidiano delle opposizioni politiche e mediatiche. Così come era prevedibile che provasse ad approfittarne in qualche modo anche la Lega di Matteo Salvini, per scavalcare a destra la presidente del Consiglio, i cui vincoli istituzionali le impediscono di dire apertamente cosa pensi di chi si va a cercare guai all’estero. Certo, la diplomazia italiana e chi ne porta la superiore responsabilità politica, cioè Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani, non ci hanno visto troppo bene, sperando che “passasse la nottata” senza che la grana scoppiasse.
Resta vero, in conclusione, che, se ci stanno a cuore i nostri connazionali all’estero e il nostro Paese, meno polemizziamo tra di noi e meglio è. “Vasto programma”, diceva un celebre statista d’oltralpe (il generale de Gaulle), a cui i francesi non sembravano abbastanza uniti. Azzardando un confronto, abbiamo di che riflettere.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.