L’Isis da Barcellona alla Siria. L’attentato nella capitale catalana ci spinge a verificare a che punto è la guerra contro lo stato islamico. Non va dimenticato che l’Isis, attraverso Amaq, la sua “agenzia”, ha rivendicato anche questo attentato. E ha affermato che “soldati dello stato islamico hanno portato a termine l’operazione agli ordini del califfato contro i Paesi della coalizione”. Che la Spagna sia impegnata solo marginalmente nelle forze anti Isis (ha inviato 300 istruttori militari in Iraq) importa poco. Come importa poco che l’Isis abbia l’abitudine di rivendicare a cose fatte attentati che sono frutto di iniziative indipendenti dal suo centro di comando.
Tutti in guerra contro l’Isis
Le ultime notizie danno l’Isis in rotta, assediato da forze preponderanti nella sua capitale Raqqa. Ma cosa sta succedendo in Medio Oriente? Sappiamo che Putin è sceso in guerra contro lo stato islamico a fianco del presidente siriano Bashar al-Assad. Sappiamo che sul campo opera anche una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, contraria ad Assad. E che comprende Paesi che vanno dalla Francia al Regno Unito, dalla Giordania all’Arabia Saudita. Altra cosa certa: sul teatro delle operazioni ci sono cento altre sigle combattenti come i Curdi.
Un’alleanza fragile
Ma le forze scese in campo per combattere lo stato islamico si scontrano anche tra loro. È successo per esempio in aprile dopo il bombardamento chimico delle forze di Assad su Khan Shaykhun, nella provincia di Idlib, controllata dal califfato e da forze contrarie al dittatore siriano. Gli americani hanno risposto lanciando 59 missili Tomahawk contro la base siriana di Shayrat, da dove sarebbero partiti i bombardieri siriani. E sta accadendo ancora a Deiz Ez Zor. Nella devastata città sull’Eufrate, nella Siria Orientale, resiste da mesi la 104ª brigata aviotrasportata siriana. A guardia di enormi giacimenti petroliferi, è assediata dai miliziani del califfato e bombardata dagli aerei della coalizione guidata dagli americani.
L’inferno di Raqqa
Ma l’Isis perde indubbiamente terreno: il territorio che si era ritagliato nel 2014 oggi si è molto ridotto. Come riporta l’Ansa, dopo aver perso Mosul in gennaio, l’Isis in aprile avrebbe ceduto il 75% del suo territorio in Siria e sarebbe stato cacciato dall’Iraq. Intanto l’assedio di Raqqa, una delle sue roccaforti, prosegue tra mille atrocità. Le ultime notizie raccontano che le Sirian democratic forces guidate dai curdi hanno il controllo sul 55% della città siriana. E secondo un rapporto dell’Onu, Raqqa è un vero inferno per i civili. Ce ne sarebbero ancora 25mila intrappolati in città, alla mercé dei tagliagole dell’Isis. Ma altre fonti parlano addirittura di 100mila persone.
Armi segrete contro i “crociati”
Il periodico dello stato islamico Rumiyah (vuol dire Roma, che l’Isis ha promesso di mettere e ferro e fuoco) il 9 agosto annunciava che nell’assedio di Raqqa verranno usate armi segrete: “Un fuoco che brucerà la croce e la gente di Raqqa”. Ma lasciando perdere la propaganda, certamente l’Isis dovrà usare tutte le frecce al suo arco per evitare di perdere Raqqa. D’altro canto però è facile prevedere che alla fine, soprattutto se americani e russi si metteranno d’accordo, si avrà ragione dello stato islamico.
Una sconfitta definitiva?
A questo punto La vera domanda non è tanto come verrà spartito il territorio siriano dopo la fine del califfato. E se la sua fine trascinerà con sé il pericolante regime di Assad. Ma è che cosa ne sarà dell’Isis e dei suoi combattenti. Illuminante in tal senso un intervento del generale Carlo Jean. L’80enne ex militare è stato per anni consigliere del Quirinale. Ed è ritenuto una delle menti più fervide nell’analisi internazionale. Già nello scorso maggio su formiche.net aveva scritto un articolo dal titolo eloquente: “Conviene davvero all’Occidente distruggere l’Isis?”. Jean ha sostenuto che la sconfitta dello stato islamico provocherebbe inevitabilmente il ritorno dei foreign fighters nei loro Paesi d’origine, con ovvie conseguenze sul territorio europeo. E le cose non sono cambiate. Insomma, prepariamoci. Il ritorno e la riorganizzazione di questi combattenti, con ben altra preparazione rispetto agli attentatori di Barcellona, potrebbero creare problemi molto più gravi di quanto ci si potrebbe aspettare.
Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.