Italia–Germania o se preferite Draghi–Scholz: “Profondi legami tra Roma e Berlino. Ora accelerare su Ue. Scholz loda il lavoro dell’Italia”, solo per citare uno dei tanti titoli dedicato al vertice romano di ieri.
L’incontro tra il presidente Mario Draghi e il neo cancelliere tedesco Olaf Scholz mi ha scatenato una ridda di paragoni. Ho il difetto dello storico dilettante di vedere dietro i politici contemporanei i loro grandi predecessori. Quando vedo stringersi la mano Macron e Boris Johnson scorgo la stretta di mano (mai avvenuta) tra Napoleone e Wellington o quella vera tra Churchill e de Gaulle. Quando vedo Mattarella ricevuto alla Casa Bianca immagino l’incontro tra De Gasperi e Truman o tra Kennedy e Fanfani. Insomma, dietro ad ogni appuntamento internazionale, inevitabilmente, c’è una storia millenaria che si perpetua.
Così, nel vedere Draghi accogliere Scholz sul tappeto rosso, la prima immagine che mi si è presentata è l’abbraccio tra Mussolini e Hitler del maggio del 1938 a Roma, così ben descritto da Charlie Chaplin nel film Il Grande Dittatore e da Ettore Scola nel suo Una giornata particolare. Ma in questo caso l’immaginazione è anche andata molto più indietro, alla piacentina Dieta di Roncaglia, quando Federico Barbarossa incontrava i rappresentanti dei ribelli Comuni italiani per ricondurli all’obbedienza, con le buone o con le cattive.
Quando Berlino non esisteva…
I rapporti diplomatici tra Roma e Berlino risalgono a prima che Berlino venisse fondata. Risalgono al 98 dopo Cristo col primo reportage giornalistico sui tedeschi: il De origine et situ germanorum di Publio Cornelio Tacito. All’epoca, mentre l’Italia era padrona del mondo conosciuto, gli antenati di Scholz e della Merkel vagavano nelle foreste del nord vivendo in capanne di fango e senza conoscere la scrittura. Il che non li rendeva meno temibili, perché già cent’anni prima, nel 9 dopo Cristo, a Teutoburgo, le tribù germaniche guidate da Arminio avevano fatto fuori in un’imboscata tre legioni romane al comando di Lucio Quintilio Varo.
Insomma, se analizziamo gli inizi del rapporto Italia-Germania non dormiamo sonni tranquilli. Il pregiudizio anti italiano dei Tedeschi data da duemila anni e non basteranno pochi mesi del governo Draghi a far modificare il loro atteggiamento. Ma andiamo velocemente e con ordine. Neppure quel fulmine di guerra di Giulio Cesare, dopo qualche azione dimostrativa e qualche scaramuccia, è riuscito a domare i Germani; tanto che Roma, pur al culmine della sua potenza, ha rinunciato a conquistare la Germania, ponendo anzi un robusto confine, il Limes, a cavallo del Reno.
Sì, Colonia era stata fondata dai Romani col nome di Colonia Agrippina, in onore della moglie dell’imperatore Claudio che era nata nei pressi; ma nella sostanza la Germania è rimasta ai margini della dominazione romana. Tanto che mentre Spagna e Francia parlano lingue neo latine, i Tedeschi sono rimasti legati alla loro tradizionale lingua di origine indoeuropea, anche se oggi è l’unica che contempla ancora i casi (nominativo, genitivo, accusativo) che rimandano al Latino.
Dal sacco di Roma a Carlo Magno
Non possiamo dimenticare che la caduta dell’Impero Romano è stata in gran parte opera delle tribù germaniche che hanno superato il Limes e distrutto tutto il possibile della civiltà romana. Ma per arrivare a grandi passi ai giorni nostri dobbiamo saltare quattro secoli, quelli che dividono il sacco di Roma del 410 dopo Cristo da parte dei Visigoti (sempre di Tedeschi stiamo parlando) dall’incoronazione di Carlo Magno la notte di Natale dell’800 da parte del romano Pontefice. Carlo Magno è stato il primo che è riuscito a ridurre a ragione il popolo tedesco, sterminandolo a piene mani primavera dopo primavera e unendo nella sua creazione, il Sacro Romano Impero, i territori oggi divisi di Francia, Italia e Germania.
Anche se per un brevissimo periodo siamo stati un’unica nazione, le divergenze si sono manifestate subito, alla morte di Carlo Magno: da allora e per centinaia di anni l’imperatore tedesco si riteneva proprietario della Penisola, che invece si sentiva indipendente, ancorché estremamente disunita. Per secoli si è ripetuta la stessa sceneggiatura: viene eletto il nuovo imperatore tedesco. L’imperatore raduna un forte esercito e scende in Italia per essere incoronato dal Papa a Roma. Ad ogni discesa gli Italiani cercano di sconfiggerlo, con alterne vicende. Dal complicato rapporto di odio – amore tra Federico Barbarossa e i comuni italiani alla scena di Canossa, quando l’imperatore Enrico IV viene lasciato per tre giorni e tre notti al freddo dell’inverno appenninico prima di essere ricevuto da Papa Gregorio VII nel castello di Matilde.
Quel cattivone del Barbarossa
Pensate, al termine delle lotte tra Federico Barbarossa e gli Italiani si giunge ad un trattato di pace (la pace di Costanza, trattata nella piacentina basilica di Sant’Antonino). Barbarossa si reca in visita dal Papa a Venezia. Giunto al suo cospetto si inginocchia al bacio della pantofola borbottando: “Non tibi sed Petro” (non lo faccio per te ma per San Pietro che tu rappresenti) e il Papa, ponendogli con forza il piede sul capo gli ruggisce “Et mihi et Petro!” (per San Pietro e anche per me).
Dai Lanzichenecchi a Radetzky
Quest’atteggiamento di supremazia prosegue per secoli, con la Germania che vede l’Italia come un suo feudo (Corradino di Svevia, Federico II “stupor Mundi”) fino a Carlo V coi suoi Lanzichenecchi che perpetra un nuovo sacco di Roma in pieno Rinascimento.
Se volessimo considerare di stirpe vagamente tedesca anche i dominatori austriaci (e per noi italiani erano esattamente la stessa cosa, tanto che venivano sempre chiamati “i Todesch”) arriviamo alle guerre d’indipendenza e cioè fino alla seconda metà dell’Ottocento. E cos’è mai stata la prima guerra mondiale se non l’ultima guerra d’indipendenza da un’entità che per noi era straniera e parlava tedesco?
Tutto il nostro Risorgimento parla di Tedeschi, dal bieco Maresciallo Radetzky alla famigerata prigione dello Spielberg dove languivano Silvio Pellico e Piero Maroncelli. Lo so, erano Austriaci, ma parlavano pur sempre tedesco. Possiamo dimenticare Cesare Battisti e Nazario Sauro? Siamo sempre lì, ad Arminio e a Barbarossa, con uno straniero che parla tedesco e che vuole dominarci.
Abbracci e scintille tra Hitler e Mussolini
Vogliamo passare sotto silenzio tutto il rapporto Italia-Germania durante il fascismo e il nazismo? È storia di ieri, ma il copione è sempre il medesimo. All’inizio della sua ascesa al potere Hitler vedeva in Mussolini il suo modello, ne era affascinato e non vedeva l’ora di conoscerlo. Mussolini, al contrario, diffidava dell’imbianchino che aveva scalato il potere e confidava ai suoi gerarchi che non sopportava i suoi sproloqui. Però, se vogliamo vederla in una prospettiva storica, per la prima volta in duemila anni, la Germania riconosceva all’Italia una superiorità alla quale ispirarsi. E questa superiorità era anche durata abbastanza, diciamo dal 1933, quando Hitler prende il potere fino al 1938, quando Mussolini, resosi conto degli enormi progressi della Germania nazista, si trova costretto a varare le famigerate leggi razziali.
In quei pochi anni i rapporti si sono ribaltati: non è più Hitler che segue con ammirazione Mussolini, ma Mussolini che è costretto a seguire le follie del Führer. Contemporaneamente la stima e la considerazione di Hitler verso Mussolini vanno in calando, fino a giungere al minimo durante la II guerra mondiale. L’evoluzione è fin troppo nota per andare oltre all’accenno: Hitler che si allea con l’Unione Sovietica senza comunicarlo a Mussolini; Hitler che invade tutta l’Europa mentre Mussolini temporeggia; poi il 25 luglio 1943 e i soldati della Wehrmacht che occupano l’Italia, fino alla tragica fine della loro altrettanto tragica avventura, l’uno a Piazzale Loreto e l’altro tra le rovine del bunker di Berlino.
Da De Gasperi alla Merkel
Nel dopoguerra c’è un altro momento – altrettanto isolato – di “parità” Italia-Germania, il rapporto tra Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer. L’Italia si è spesa per far ottenere alla Germania, vinta e divisa in due, una dignità europea. Il nostro primo ministro, europeista convinto, era persuaso che una Germania umiliata non sarebbe servita a niente. Ed è proprio dalla loro reciproca stima che è partita la spinta per fondare l’Unione Europea.
È durata molto questa parità? Non direi. Ricordate Wolfgang Schäuble, quel ministro delle Finanze di Angela Merkel che si aggirava per le istituzioni europee, costretto in carrozzina, tuonando contro gli Italiani spendaccioni? È lo stesso copione che discende da Arminio, Barbarossa, Enrico IV e Radetzky… E c’è voluta la pandemia per far dire ai Tedeschi che forse, con tutto il loro rigore, si erano sbagliati.
La terza parità
Oggi, duemila anni dopo, stiamo vivendo il terzo periodo di parità Italia-Germania. Grazie alla pandemia, grazie alla stima di cui gode Mario Draghi, grazie al Recovery Fund. Quanto durerà non lo possiamo sapere. Ma, da storici dilettanti, sentire qualche settimana fa la Merkel che diceva: “Se fossimo nella situazione dell’Italia mi sentirei meglio”, rivaluta duemila anni di oppressione e di incomprensioni.
Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.