Il Jobs Act ha finito il suo effetto propulsivo sul mondo del lavoro. Secondo l’Osservatorio sul precariato dell’Inps, nei primi tre mesi del 2017, i nuovi posti fissi nel settore privato sono in netta diminuzione. Le assunzioni a tempo indeterminato sono calate del 7,6% rispetto allo stesso periodo del 2016. Si riducono anche le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine (-3,1%) e di apprendisti passati a tempo indeterminato (-17,3%). Se poi si guarda la variazione netta complessiva, si passa dai 41.731 posti fissi del primo trimestre 2016 ai 17.537 di quest’anno (-58%). Le cause? La sostanziale stagnazione dell’economia italiana, che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni. E gli effetti ritardati del Jobs Act, legge varata guarda caso proprio nel 2014. E che prevedeva fortissimi sconti contributivi per chi assumeva. Ma solo per i primi tre anni.
La profezia di Renzi
Chi non ricorda l’obiezione che all’epoca si faceva a Matteo Renzi, “E fra tre anni cosa succederà?”. L’allora premier rispondeva più o meno che, una volta reso libero il lavoro da lacci e lacciuoli, l’economia sarebbe letteralmente esplosa. E che pertanto “fra tre anni” saremmo stati nel migliore dei mondi possibili e i posti di lavoro sarebbero decuplicati. “Chi mai si sognerà di licenziare, signori miei – affermava il premier di Rignano – col Pil a due cifre e le imprese piene di ordinativi?”.
L’effetto boomerang
La profezia, come si immaginava già allora, non si è affatto verificata. E oggi assistiamo semplicemente alla riduzione di quegli stessi posti di lavoro creati dal nulla in un momento che sembrava preludere ad un nuovo boom. Gli imprenditori hanno (giustamente) approfittato dell’occasione loro offerta dal governo. Fin quando, appunto, è stata un’occasione. Da quest’anno però i contributi sono tornati normali. Di conseguenza il meccanismo s’è inceppato. E come se si viaggiasse su un boomerang, stiamo tornando al punto di partenza. Con un’aggravante: la posizione dei lavoratori che hanno conquistato il posto fisso si è indebolita.
L’eredità del Jobs Act
Cosa resta, dunque, del Jobs Act? Purtroppo solo la parte – estremamente negativa – dell’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Chi scrive non è Bertinotti né Landini, ma forse sull’articolo 18 non è stato detto tutto. Consentite un rapido riassunto? Il nostro Codice civile prevede, in linea generale, che se io ti provoco un danno – e nel concetto è ricompresa l’ingiustizia dello stesso (non provoca un danno il vigile del fuoco che abbatte la porta del mio appartamento per salvarmi da un incendio!) – sono obbligato al risarcimento.
Che può avvenire in due modi: in forma specifica o per equivalente. In soldoni, se ti urto l’automobile potrei sia fartela riparare a mie spese e restituirtela riparata. Oppure pagarti l’equivalente in denaro. È ovvio come l’ipotesi più usata sia la seconda.
Il buono dell’articolo 18
L’articolo 18 prevedeva più o meno la stessa cosa: se io datore di lavoro ti licenziavo ingiustamente (l’avverbio è fondamentale, ma i nostri politici l’hanno dimenticato) tu avevi due possibilità. Chiedere la reintegra nel posto di lavoro o accettare un risarcimento in denaro. Torniamo sull’ingiustamente: se l’impresa va male, se ha i bilanci in rosso, se chiude alcune filiali e riduce il personale il licenziamento non è ingiusto. Mentre lo diventa se discrimina il singolo dipendente, per esempio perché è di colore, musulmano o gay.
Discriminazione e riduzione del risarcimento
Il Jobs Act – occorre segnalarlo – ha mantenuto la reintegra nel caso in cui il dipendente licenziato riesca a dimostrare che il suo licenziamento è discriminatorio. Ma soltanto in questo caso. Non solo, per favorire le assunzioni, il Jobs Act ha anche ridotto drasticamente il risarcimento economico. Se prima (ma i calcoli sono abbastanza complessi) il risarcimento corrispondeva a 18 mensilità dell’ultimo stipendio, oggi si è ridotto a due o tre mesi. Nel momento in cui la crisi morde di più, il dipendente licenziato è automaticamente ridotto sul lastrico. E senza possibilità di essere reintegrato. Questo, si ricorda, non in caso di crisi dell’azienda o di chiusura di un ramo della stessa. Ma anche se il datore di lavoro ha licenziato ingiustamente il dipendente. Per esempio perché gli è antipatico o perché è biondo. E lui non riesce a dimostrare che questo è il vero motivo del suo licenziamento.
Jobs Act e Stato di diritto
Questo principio cozza contro i fondamenti del nostro Stato di diritto, che prevede, in ogni caso, che se provochi un danno sei obbligato a risarcirlo. In sostanza, è come se dicessimo che in un incidente stradale io urto la tua auto e ti provoco 2mila euro di danni. Ma sono obbligato a risarcirne il 20%. E a te in tasca vanno solo 400 euro.
Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.