Louvre: l’idea di costruire un museo con questo altisonante nome in mezzo al deserto all’inizio ha sconcertato anche l’archistar francese Jean Nouvel. Ma con il denaro tutto diventa possibile. E ad Abu Dhabi ne scorre a fiumi. Così dal 2005 si inizia a discutere tra Parigi e l’Emirato, fino a giungere al progetto e alla realizzazione di oggi.
“La Francia è stata scelta dagli Emirati come partner culturale perché è la capitale dell’arte”, gigioneggia il presidente del Louvre francese Jean Luc Martinez. Che aggiunge: “Non è una questione di storia o di immagine, ma è un fatto incontestabile: la Francia è il Paese più visitato del pianeta e il Louvre è il primo museo al mondo. Non solo perché è il più antico, ma anche per il maggior numero di capolavori presenti nella sua collezione”.
Soldi e cultura
Parigi ha iniziato subito a battere cassa. Solo per poter utilizzare il nome “Louvre” Abu Dhabi ha sborsato 525 milioni di dollari. Un diritto che scadrà dopo 30 anni e 6 mesi. Altri 747 milioni verranno sborsati per l’affitto delle opere d’arte e per i consigli gestionali. Totale: ben oltre un miliardo di euro. In più, Parigi ha imposto architetto e progetto.
Qual è la convenienza per Abu Dhabi? Diventare, com’è già diventato, il primo polo museale del Medio Oriente. Gli Arabi hanno compreso che l’arte può diventare “potenza” e come tale la sfruttano.
Se la collocazione “culturale” avrà indubbiamente dei limiti (pensiamo alle migliaia di donne svestite e di Gesù sanguinanti che non potranno mai essere esposti nell’Emirato), in un anno dalla sua apertura ufficiale il Louvre del deserto ha già collezionato oltre un milione di visitatori. Dunque, per ora il bilancio è più che positivo. Ma che cosa contiene il museo?
Da Leonardo a David
Il Louvre mediorientale per prima cosa sorge su un’isola circondata dal mare ed è collegato alla terra ferma da diverse passerelle. È costituito da una enorme cupola traforata (elemento tipicamente arabo) mentre l’interno è progettato come un dedalo di sale che richiama la Medina, il tipico centro storico arabo.
All’interno sono esposte un migliaio di opere. Circa la metà è costituita da prestiti temporanei e il resto da reperti acquistati dal museo, che vanno dall’antichità classica all’arte moderna. Ma passiamo subito ai punti forti: se il Louvre ha nella Gioconda di Leonardo il suo centro focale, Abu Dhabi non è da meno. Infatti esibisce La belle ferronière, sempre di pugno del maestro toscano. E tanto per far capire chi comanda e che modesta opinione di sé hanno i francesi, direttamente dal museo di Versailles, ecco Napoleone che passa il San Bernardo di Jacques-Louis David. E se anche l’opera di David dovesse andar persa, Parigi ne ha una copia al castello della Mailmaison, mentre altre due, sempre di mano di David, sono a Vienna e a Berlino.
Il giallo del Salvator Mundi
Ma come mai dovrebbe andar persa? Perché è probabilmente la sorte che è toccata al Salvator Mundi, del quale, ad oggi, si sono perse le tracce. L’opera, attribuita a Leonardo, era stata acquistata per la cifra monstre di 450 milioni di dollari da un misterioso principe arabo che aveva promesso di prestarlo al Louvre di Abu Dhabi quantomeno per il 2019, quinto centenario della morte del maestro di Vinci.
Ma il dipinto è sparito, volatilizzato. Al Louvre parigino stringono le spalle, affermando di non saperne niente. Il museo dell’Emirato a sua volta non rilascia dichiarazioni. Che il misterioso acquirente voglia goderselo da solo? O non è così certo che l’opera sia davvero di mano di Leonardo e tema di mostrarla?
Intanto al Louvre di Abu Dhabi si consolano con altre opere, tra cui il Ritratto della madre, dell’americano Whistler e un autoritratto di Van Gogh, prestiti del Museo D’Orsay. Poi, ecco alcuni dipinti di Matisse, Degas, Manet e Andy Warhol.
Il reddito dell’arte
In tutto questo noi siamo assaliti dallo sconforto. Quotidianamente, più volte al giorno, ci sentiamo dire che abbiamo un debito pubblico fuori controllo, che dovremo alzare l’Iva, che la nostra industria è ferma, che il Pil è bloccato. In sostanza, che “sono finiti i soldi”, mentre siamo seduti su una vera montagna d’oro. Ma che noi, gnomi miopi, teniamo ben chiuso nei depositi dei nostri mille musei. Opere d’arte straordinarie che non aspettano altro che di essere mostrate nei musei di tutto il mondo, riempiendo le casse pubbliche e attirando nuovi turisti anche in Italia.
Potremo mai immaginare una collaborazione tra gli Uffizi e il Qatar? Tra Palazzo Pitti e il Bahrein? Tra i Musei Capitolini, i tanti musei archeologici di Roma, Napoli, Taranto, e Dubai? A Parigi hanno incassato oltre un miliardo di euro praticamente in cambio di niente: tra qualche anno le opere rientreranno nei musei francesi e perfino il nome del Louvre tornerà in mano loro.
Vi immaginate da noi il prestito al Bahrein, che so, del Galata morente? Le conferenze dei servizi, i pareri delle Sovrintendenze, gli alti lai di qualche critico d’arte di certo bloccherebbero tutto anche a fronte di un assegno milionario… Ci viene da pensare che alla fine avesse ragione D’Alema: l’Italia non sarà mai un “Paese normale”.
Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.