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Michela Deriu: tre indagati per il suicidio del video hard

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Nel riquadro, Michela Deriu, e il municipio de La Maddalena

Michela Deriu è la ragazza 22enne morta a La Maddalena nella notte tra il 4 e il 5 novembre scorsi. Michela, che faceva la barista, si sarebbe tolta la vita impiccandosi con un laccio a casa di un’amica che l’ospitava. La storia parte da un video hard che l’ha vista protagonista. Poi la minaccia da parte di qualcuno di diffonderlo in rete se non avesse pagato una somma di denaro. E la pressione sarebbe stata tale da portare la ragazza al suicidio. Questa è l’ipotesi portante, ma ci sono elementi e circostanze che vanno ancora chiariti.

Michela Deriu: quello che non torna

Michela aveva nelle tasche dei pantaloni i biglietti di ritorno di traghetto e pullman che l’avrebbero riportata dopo qualche giorno a Porto Torres, dove abitava. Strano acquisto per chi pensa al suicidio. Accanto al suo corpo sono stati trovati anche due biglietti d’addio. Uno però era molto stropicciato. Come se qualcuno l’avesse prima appallottolato e poi steso di nuovo. Chiaro quindi che gli investigatori abbiano deciso di procedere alle perizie sui biglietti.

La rapina a Porto Torres

Altro punto oscuro, una rapina subita da Michela prima della sua morte e riportata anche in un articolo dalla Nuova Sardegna. La ragazza aveva raccontato di aver subito un’aggressione a Porto Torres, mentre alle 1.30 di notte tornava dal lavoro. Dopo averla narcotizzata sulla porta di casa, in pieno centro storico, alcuni sconosciuti le avevano sottratto mille euro che teneva nell’appartamento. Una somma costituita anche dalle mance dei colleghi. E subita la rapina, il 3 novembre Michela era partita per La Maddalena, confidando al titolare del bar dove lavorava di sentirsi in pericolo

Michela Deriu: gli indagati

Per il momento, il procuratore di Tempio Pausania, Gianluigi Dettori, ha iscritto nel registro degli indagati tre amici della ragazza per i presunti reati di istigazione al suicidio, tentata estorsione e diffamazione aggravata. Ma perché i tre giovani, o nuovi indagati di un cerchio che si potrebbe allargare, come sostiene il legale della famiglia Deriu, possano effettivamente rispondere dei reati ipotizzati la strada sembra lunga. Anche se il provvedimento è stato adottato perché i carabinieri, durante una perquisizione, hanno trovato sul portatile di uno dei tre ragazzi un video hard della vittima. E adesso tutti i supporti informatici sono al vaglio degli inquirenti.

I reati ipotizzati

Ma torniamo ai tre reati ipotizzati. L’istigazione al suicidio si configura quando qualcuno “determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione”. E questo non si può dire accertato anche dalla minaccia di diffusione in rete delle immagini hard della ragazza. La tentata estorsione, a sua volta, si concretizza solo se si dimostra che i ragazzi (o anche uno di essi) ha richiesto a Michela una somma di denaro per non diffondere il video in rete. Infine, la diffamazione aggravata. Si configura quando qualcuno, comunicando con più persone, offende l’onore o il decoro della vittima. Questo reato è il più credibile, anche senza la diffusione online del video incriminato. Ma comporta “solo” la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro. Il che significa che si può anche patteggiare con una semplice sanzione pecuniaria.

Come ci si difende dal sexting?

Ma allora come ci si può difendere in casi come questo o come quello che portò al suicidio Tiziana Cantone dopo la pubblicazione online di alcuni suoi video hard nel 2016? Il metodo migliore consiste semplicemente nel non farsi riprendere in circostanze poco commendevoli. Ma è più facile a dirsi che a farsi. Soprattutto oggi che il sexting (scambio di foto o video sessualmente espliciti tramite social o telefoni cellulari) è così diffuso tra i giovani. Dovremmo ricordare ai nostri figli che una foto, come un diamante, “è per sempre”. E che quando entra nel circuito della rete è praticamente impossibile sapere dove potrà finireD’altro canto, con la diffusione planetaria del web, una legge italiana (che non esiste) avrebbe poche possibilità di essere efficace. Anche in casi drammatici come quello di Michela Deriu su cui aspettiamo gli sviluppi delle indagini.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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