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Movimento 5 Stelle: tra tensioni e gelosie, un difficile esame di maturità

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Luigi Di Maio: vicepremier, ministro di Sviluppo economico, Lavoro e Politiche sociali, e leader del Movimento 5 Stelle

Movimento 5 Stelle, maggioranza e governo giallo-verdi: luna di miele a rischio? Quella con gli elettori non sembra essersi esaurita, sia pure con un trend disomogeneo tra i 2 partner. Ma è proprio dall’andamento divaricato dei consensi post 4 marzo, calante quello di Di Maio & soci e crescente quello della Lega di Salvini, che le tensioni interne ricevono alimento.

Un altro cruccio del Movimento è il diverso grado di presa sull’opinione pubblica e di realizzabilità dei cavalli di battaglia dei 2 partiti di maggioranza. L’attivismo, verbale e sostanziale, del ministro dell’Interno nel campo dell’immigrazione e anche dei rom paga, al punto da egemonizzare l’operato dell’esecutivo. E, soprattutto, non sembra richiedere spese e coperture. Semmai ne lascia intravedere una riduzione. Mentre il reddito di cittadinanza caro ai 5 Stelle rischia di restare a lungo una chimera. Specie dopo che il ministro dell’Economia Tria ha rassicurato Bruxelles e gli investitori sul rinnovato impegno del Paese sui conti pubblici.

La fisiologia della non vittoria

Le tensioni che abbiamo passato in rassegna sono fisiologiche, tenuto conto di due fattori. Il primo: la maggioranza in essere risulta dalla doppia “non vittoria” dei 5 stelle e della coalizione di centrodestra. Il secondo: il combinato disposto di un sistema istituzionale immutato dal dopoguerra e del cosiddetto Rosatellum ci inchioda al regime dei partiti. Sistema, quest’ultimo, da non confondere con quello britannico, che è invece un regime di partito. Noi abbiamo il sistema che fu della repubblica di Weimar e della III e IV repubblica francese. Così, tanto per intenderci e ripassare dove e come esso abbia condotto all’epoca quei Paesi.

Opposizioni spuntate

È fisiologica, d’altra parte, anche la polemica delle opposizioni verso Palazzo Chigi e quanti ne sostengono la politica in Parlamento. Non bisogna dimenticare, però, che gli oppositori, divisi in almeno due tronconi, non hanno formule alternative di maggioranza da proporre. Forza Italia è in piena crisi d’identità ed esposta alla sempre più riuscita scalata leghista del suo elettorato. Fratelli d’Italia è distante sia dall’esperimento di Salvini con il Movimento, sia dalla latente disponibilità di Berlusconi verso il Pd. I Democratici, per l’appunto, sono tuttora divisi al loro interno, in attesa della conta congressuale e del riposizionamento di Renzi. Mentre Liberi e Uguali non può certo sperare di sopravvivere a lungo parlando di antifascismo.

L’instabilità non è mai abbastanza?

Al netto delle suggestioni giornalistiche e dei legittimi interessi di parte, è dunque da irresponsabili soffiare sul fuoco dei dissidi giallo-verdi. Quanti lo fanno – e a sfogliare i giornali è difficile scovare eccezioni – sembrano dimenticare da cosa siamo reduci come Paese. Una crisi di governo post-elettorale di 3 mesi di durata. Uno scontro istituzionale senza precedenti, almeno nelle forme e nella visibilità. Tensioni crescenti sul mercato dei titoli del nostro debito sovrano, nelle more della soluzione della crisi. L’ostilità malcelata o la benevolenza di maniera dei governi di Francia e Germania verso il primo esecutivo anti-sistema di uno dei Paesi maggiori dell’Unione.

Il rischio che il respiro della legislatura sia limitato, di per sé, è già piuttosto elevato. Né, ad onta delle apparenze, si può dare per scontato che una riforma elettorale incontri il favore di Lega e 5 Stelle. Dopo tutto, una formula che rende indispensabile l’uno per l’altro può sembrare l’ideale per piegare volontà recalcitranti solitamente irriducibili. Sarebbe un ragionamento da politica che pensa a se stessa anziché al Paese, ma sappiamo che da noi purtroppo non è infrequente. In tutti i casi, adombrare ovvero augurarsi che, dopo meno di un mese, torniamo alle consultazioni al Quirinale, è da pazzi.

Movimento e fermezza di governo

Dalla capacità di resistenza alle sirene dell’abbandono del patto con la Lega dipenderà la consistenza della “diversità” dei 5 Stelle. In fin dei conti, è questa la posta in gioco e i segnali che arrivano su questo fronte sembrano buoni. Non si sa mai, comunque. Infatti, oggi domina una tale volatilità che alla strategia viene quasi sempre preferita la tattica.

Il punto, però, è proprio questo. Se saprà non cedere a quanti lo istigano a sacrificare la stabilità del governo per gelosia verso la Lega, il Movimento farà una cosa nuova. E cioè focalizzarsi sul programma dentro una cornice di stabilità, senza l’ossessione del proprio orticello. Sarebbe indubbiamente un passo avanti.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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