Papa Francesco esclude, per il momento, la propria rinuncia al Pontificato: è soltanto un modo per ribadirne la possibilità. Ancora una volta, la Santa Sede si presta al gioco di quanti si augurano la fine non di questo Pontificato, ma del Papato in quanto tale.
Qui parliamo di rinuncia, anche se altrove dovessimo leggere (o meglio, benché altrove dobbiamo leggere) di dimissioni. Prestiamo attenzione, perché la mistificazione comincia dalle denominazioni. Il Papa non si dimette, perché non esiste nella Chiesa alcuna autorità superiore alla sua, cui egli possa fare istanza. Il Papa comunica alla Chiesa, tramite il Collegio Cardinalizio, la propria rinuncia al ministero pontificale. Cominciamo, comunque, dall’ultima intervista di Papa Bergoglio.
A tutto campo
Lo scorso 12 luglio, il Papa si è concesso una conversazione con due giornaliste messicane del network TelevisaUnivision: Maria Antonieta Collins e Valentina Alazraki. Nel corso dell’incontro, si è parlato di un gran numero di temi, del tutto eterogenei.
Ne forniamo una sommaria rassegna. Un accenno alla pandemia, non ancora conclusa. Il ribadire l’intenzione papale di recarsi, ove e quando possibile, a Kiev, perché la priorità va data agli ucraini aggrediti, rispetto ai russi aggressori. Il consueto richiamo alla “guerra mondiale a pezzi”, caro al Papa, che attraverso di esso si spiega il perdurare dei conflitti a differenti latitudini. L’immoralità della produzione e del possesso di armi nucleari. La condanna dell’aborto e la denuncia dell’incoerenza di quelle personalità politiche che, pur reclamandosi cattoliche, ne affermano la liceità. Un riferimento a Cuba e ai rapporti personali del Pontefice con Raul Castro.
Per finire, non poteva mancare l’auto-accusa penitenziale. Sono due i fronti in questione. Da una parte, il Canada, dove i cattolici hanno da farsi perdonare le violenze commesse nelle scuole in danno dei bambini nativi, loro affidati dalle autorità federali per forzarne l’assimilazione. Dall’altra, l’immancabile richiamo ai casi di pedofilia clericale, definiti crimini mostruosi.
Se mi ritirassi…
Come si vede, ci sarebbe stato di che commentare. Ad esempio, come la mettiamo con un Papa assolutamente cool, che ribadisce però l’impossibilità assoluta di considerare non solo un diritto, ma anche soltanto una facoltà legittima, il ricorso all’aborto? È all’avanguardia o medievale, un Papa così? Sarà a fette come una torta, o a petali come un fiore: tant’è. Facciamo notare che l’illiceità dell’aborto è stata definita da Francesco come un’evidenza a partire dai dati scientifici, che non sono negoziabili. Il richiamo all’evidenza scientifica echeggia, ad esempio, quello relativo all’utilità dei vaccini: chissà se il mainstream della comunicazione converrà nelle stesse proporzioni.
Dopo il rilascio dell’intervista, ad ogni modo, si è parlato solo del discorso relativo alla rinuncia. Il Pontefice, dopo aver detto che per il momento non se ne parla, ha affermato che, con l’abbandono di Joseph Ratzinger, la porta è stata aperta. Incalzato dalle due giornaliste circa lo statuto del “fu Pontefice vivente”, ha sostenuto che, per l’avvenire, sarà il caso di esplicitare meglio questa posizione. Al presente, l’esperienza fatta da Ratzinger è straordinaria, in ragione della sua santità e discrezione. Francesco, nel caso, si considererebbe non il “Papa emerito”, ma il vescovo emerito di Roma. E, come aveva pensato di fare già a Buenos Aires prima della chiamata romana, si ritirerebbe (essendo, ovviamente, lucido e autosufficiente) in una parrocchia dell’Urbe, per confessare i penitenti e visitare i malati.
Escamotage e Codice
Sulla figura del “Papa emerito” ci siamo già espressi. È un’eccentricità di Joseph Ratzinger, che tuttora alimenta ridicoli – non meno che interessati – sragionamenti circa “due Papi”, ovvero “l’Antipapa”. Il Papa che cessa dalla sua carica rimane un vescovo, poiché l’Episcopato è il sommo grado del sacramento dell’Ordine (come tale, irretrattabile). Controverso resta se l’elezione pontificale abbia o meno distrutto la dignità cardinalizia di chi ne era rivestito; oggi, comunque, l’esclusione dell’elettorato papale attivo a carico dei porporati ultra-ottantenni svuota di rilevanza il dubbio. L’escamotage paventato da Francesco nell’intervista, cioè l’uso del titolo di vescovo emerito di Roma, non suona benissimo (come, a nostro parere, per tutti i vescovi dopo la rinuncia al governo diocesano). Nondimeno, è senz’altro meglio della trovata del “Papa emerito”, che sicuramente non sta in cielo e riesce malissimo in terra.
La rinuncia del Pontefice all’ufficio, che è sempre stata possibile, è espressamente regolata da quando esiste il Codice di diritto canonico, cioè dal 1917 (canone 221). La possibilità è stata confermata, con due precisazioni, nella codificazione in vigore, quella del 1983 (canone 332, § 2). Rispetto alla norma previgente (che si limitava ad escludere che la rinuncia fosse soggetta ad accettazione dei Cardinali e di qualsiasi altro), quella attuale richiede, quali condizioni di validità, la libera determinazione e la debita manifestazione della volontà conforme. Tuttora è esclusa qualsiasi accettazione, quale condizione sospensiva dell’efficacia della rinuncia.
8 abdicazioni in 20 secoli
Prima delle codificazioni canoniche e, quindi, dell’abbandono di Benedetto XVI, ci sono state altre 7 abdicazioni papali. Di queste, solo la più famosa, quella di Celestino V nel 1294 (la cui memoria fu eternata da Dante, col riferimento alla “viltade del gran rifiuto”), è stata pubblicamente motivata da ragioni di salute senile. Le altre vennero spiegate diversamente. Una pose fine alla triplice obbedienza romana, avignonese e pisana (non due, ma addirittura tre Papi!). Due furono conseguenze del commercio simoniaco (cioè, l’acquisto vero e proprio) della carica. Altre due furono determinate dalle persecuzioni e una dalla falsa accusa di aver favorito un assedio barbaro di Roma. In ogni caso, quando parliamo delle rinunce precedenti quella di Ratzinger, ci riferiamo ad epoche completamente diverse. E solo dal XIII secolo in poi il Papato è (in parte) simile a quello che conosciamo attualmente.
La regola, l’eccezione e la paternità
In conclusione, i problemi riguardo alla rinuncia papale ci sembra siano due.
Il primo, accennato anche da Papa Francesco nella conversazione con le due giornaliste, è quello della discrezione. Se un Pontefice intendesse rinunciare, dovrebbe poi necessariamente e del tutto sparire. Discrezione è un termine buono per l’eloquio, ma non rende a sufficienza l’urgenza dell’imperativo. Di uno che è stato Papa, ci si deve poter ricordare che esiste e basta. Non deve più farsi né vedere, né tanto meno sentire, neanche indirettamente, tramite scritti o interposte persone. Da questo punto di vista, restare a Roma anziché nella Città del Vaticano non cambierebbe granché.
Il secondo problema relativo alla rinuncia è parlarne in continuazione. La rinuncia corrisponde alla patologia del Papato, così come la perpetuità alla sua fisiologia. Se si volesse ribaltare i termini, basterebbe stabilirlo, con l’avvertenza che il Pontificato a termine perderebbe non in sacralità, ma in paternità. La Chiesa cattolica vuole avere uno che fa il mestiere di Papa?
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.