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Papa Francesco e i frutti avvelenati del caso Viganò

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Papa Francesco: monsignor Carlo Maria Viganò scatena una nuova bufera sul doppio binario abusi sessuali-giochi di potere in Curia. Ma, a ben vedere, quello di Viganò è un “non-caso”, cioè un dito che indica una luna irraggiungibile. E questo, se da una parte può riuscire minimamente consolante, dall’altra non lascia presagire nulla di buono, almeno a breve. Perché anni spesi a dire che si sarebbe praticato tolleranza-zero, sapendo che ciò non è possibile nella Chiesa, non possono non arrecare frutti avvelenati.

Intendiamoci: apprendere, dal memoriale Viganò, che Papa Francesco avrebbe ignorato per alcuni anni le accuse di immoralità e forse di abusi mosse contro l’ex cardinale e arcivescovo di Washington Theodore McCarrick, sorprende. Ma chi, accedendo alla notizia anche direttamente dalla fonte Viganò, è in grado di capire di che cosa si sta parlando? E allora proviamo a fare un minimo di lettura ragionata della vicenda.

McCarrick: una mina già disinnescata

L’88enne McCarrick è tuttora un vescovo. Vescovo emerito quanto all’esercizio del governo pastorale diocesano, che ha lasciato fin dal 2006, ma pur sempre vescovo della Chiesa. Successore degli Apostoli in forza del sacramento dell’Ordine. E, anche se ormai si addiviene alla dimissione dallo stato clericale per gli stessi vescovi, per la Chiesa il sacramento è comunque irretrattabile.

Quando si parla di un vescovo, dunque, non si parla di un semplice prete. Non è solo una questione di numeri, per quanto le proporzioni siano sempre una buona spia. Per la Chiesa, la sua figura ha un rilievo universale. Il Concilio Vaticano II non ha fatto altro che ribadirlo e, per quanto possibile, rafforzarlo. È vero che il potenziamento ha riguardato soprattutto le Conferenze episcopali, ma esse contano in quanto riuniscono i vescovi di un territorio.

Parlando sempre di McCarrick, egli non era nemmeno più elettore in Conclave dal compimento degli 80 anni, nel 2010. Non ha, pertanto, partecipato all’elezione di Papa Francesco, se non nelle Congregazioni generali preparatorie, dove può aver avuto un ruolo, ma non ultimativo.

Dunque: non è più a capo di alcuna diocesi da 12 anni. Non è più elettore papale da 8 anni. Da poco più di un mese non è più neanche cardinale a iniziativa di questo Papa. E ha 88 anni; ne aveva 83 quando è stato eletto Francesco. La colpa di quest’ultimo, secondo Viganò, sarebbe non averlo privato prima del cardinalato e non averlo anzitempo sospeso “a divinis”. Nonché non averlo costretto sin dal 2013 a una vita ritirata, come già aveva inutilmente disposto (sempre secondo Viganò) Benedetto XVI.

I limiti della tolleranza-zero

Quando si è accennato all’impraticabilità della tolleranza-zero in seno alla Chiesa, non si voleva certo indulgere alla convivenza con gli abusi. Ci mancherebbe. Il fatto è che, quando immoralità e violenze si verificano, non c’è più modo di risolverle in maniera semplice. Perché il confine fra peccato e reato c’è e agli occhi della Chiesa conta. Perché il fatto che certe cose vengano fuori nel segreto del confessionale è un rompicapo sacramentale. Perché nella Chiesa la potestà di governo è sempre stata dei chierici, che per questo non si sottomettono al giudizio dei laici. Figuriamoci alle semplici accuse.

Par bene soffermarsi su quest’ultimo punto. Il clero e a maggior ragione l’episcopato sono ceti ecclesiali nei quali si entra per cooptazione. Cioè, per dirla molto semplicemente, essendovi introdotti da chi già ne fa parte. Si potrebbe cambiare questo aspetto? In passato, parlando di vescovi, erano i potenti e i signori che vi si intromettevano, ma è un tempo di cui nessuno sente nostalgia. Facciamo eleggere i vescovi dal basso, allora? E da chi, poi? Solo da quelli che vanno a messa ogni domenica, oppure da tutti i battezzati?

E da chi facciamo stabilire i criteri per reclutare i preti? Quest’ultima questione è decisiva. Anche quando – come oggi – c’è penuria severa di vocazioni, chi ha un’identità sessuale incerta non andrebbe ammesso agli Ordini. È troppo rischioso, per quanto possa sembrare inevitabile, o addirittura popolare per i tempi. Forse, non si può nemmeno escludere che, in passato, la pratica omosessuale sia stata considerata da qualcuno un male minore rispetto alla mancata continenza.

I media, la Chiesa e l’invidia

Oggi, poi, il rapporto con i media massacra la Chiesa e specialmente il Papato. Basti pensare allo scandalo. Per evitarlo, secondo il diritto canonico si possono persino secretare le prove del processo. Oggi, invece, esso viene alimentato di proposito ai massimi livelli ecclesiastici.

Da quando in qua un vescovo chiede le dimissioni di un Papa, per di più pubblicamente? Il peccato, specialmente l’invidia, ha sempre afflitto anche i pastori. Ma non vergognarsene è peggio che commetterlo. E il mondo della comunicazione è una potentissima tentazione per chi ha certe debolezze. A proposito della formazione dei preti di oggi, bisognerà assolutamente tenerne conto.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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