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Papa Francesco: ma perché è andato da Fazio a Che tempo che fa?

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Papa Francesco ospite di Che tempo che fa su Rai3, intervistato da Fabio Fazio: pastorale d’oggigiorno? Scelta del tutto personale? Ovvero, ennesima tappa della sistematica demitizzazione del Papato? 

Dobbiamo domandarcelo, perché ci piace ragionare intorno ai fatti. La cronaca, però, prima di tutto: vediamo cos’ha detto il Papa, in circa un’ora di permanenza sugli schermi del programma del conduttore savonese.

Immigrazione e guerra

L’intervista si è aperta sul tema dell’immigrazione, estremamente ricorrente nel magistero del Pontefice. Premessa la condanna dell’indifferenza, quasi eretta a vera e propria (contro)cultura ai nostri giorni, Francesco ha posto l’accento soprattutto sulla situazione del Mediterraneo. È stato Fazio ad incalzare sulla cronaca degli sbarchi mancati e avvenuti sulle coste del Mare Nostrum, evocando la consueta macabra immagine del cimitero sommerso.

Dopo aver condannato i trattamenti disumani riservati ai migranti subsahariani nei lager libici, il Papa ha parlato della necessità dell’accoglienza diffusa e programmata (un limite ci vuole e va dichiarato, ha detto) tra tutti i Paesi dell’Unione europea. E ha poi speso parole sulla necessità di far seguire al soccorso l’accoglienza e l’integrazione. Toccante, è proprio il caso di dire, l’invito a non voltarsi dall’altra parte e, quando si fa magari l’elemosina, a toccare e guardare la persona che si ha di fronte.

Il Papa ha colto l’occasione anche per stigmatizzare la logica e la pratica della guerra, che nella percezione comune fa passare in secondo piano i deboli. Esemplificando le vittime dimenticate, ha voluto ricordare i bambini dello Yemen (stato della penisola araba meridionale, dilaniato da 7 anni di guerra civile per procura tra sauditi ed iraniani). Non sono mancate, sempre dietro incitamento dell’intervistatore, considerazioni circa l’irrazionalità della guerra e la sua contrarietà al disegno divino creatore.

Genitori-figli, perdono e sofferenza

A livello generale, Papa Francesco ha parlato anche dell’ecologia (naturalmente integrale, come insegna il suo magistero, anche se stavolta si è riferito espressamente al clima e alle biodiversità), dell’aumento dell’aggressività sociale e dei rapporti familiari tra genitori e figli.

A proposito delle situazioni domestiche, il Pontefice ha lamentato la mancanza di tempo dedicato alle relazioni, sotto la pressione dei ritmi frenetici odierni. Ci vogliono dialogo e complicità con i figli: bisogna giocarci insieme quando sono bambini e non sottrarsi al confronto con loro man mano che crescono.

Il resto dell’intervista è corso attorno ad altri tre poli. Morale (diritto al perdono fraterno) e teodicea (la questione del perché Dio permetta il male, specie quello subito dagli innocenti). Chiesa (la mondanità spirituale e il clericalismo come malattie mortali, l’abbandono fiducioso a Dio nella preghiera come i bambini contano su papà e mamma). Ricordi e note personali di Jorge Mario Bergoglio: dall’infanzia alla vocazione sacerdotale, anticipata dall’innamoramento per la chimica e la medicina, senza trascurare la passione per il tango e il bisogno di non vivere isolato (così si spiega la scelta di risiedere a Santa Marta).

Non possiamo non sottolineare l’illuminante risposta sulla sofferenza degli innocenti, con la citazione letteraria di Dostoevskij, ma soprattutto col rimando all’esempio del Padre offerto nella croce del Figlio: soffrire con loro, cioè letteralmente compatire.

Papa Francesco in un talk show per…

Veniamo al fatto della partecipazione del Papa ad un talk show televisivo. E torniamo alle tre interpretazioni apparentemente alternative della circostanza, con le quali abbiamo esordito. A nostro avviso, colgono ciascuna un aspetto della realtà. 

Che la Chiesa cattolica, dopo oltre un secolo e mezzo di arroccamento successivo all’età dei lumi ed alla Rivoluzione francese, si sia messa decisamente in dialogo con il mondo negli ultimi 60 anni, è un fatto compiuto. Come pure appartiene ormai alla storia il carisma mediatico di san Giovanni Paolo II, che ha aperto una via impervia da seguire e impossibile da abbandonare.

La determinazione della misura dell’adesione della Chiesa ai contenuti ed alle forme dell’odierna comunicazione è questione che incombe a quanti, al suo interno, portano le maggiori responsabilità. Ammetteremo che il Pontefice sia fra questi ultimi. A noi, al netto dell’ultima partecipazione papale su Rai3 (dove tutto sembra sia filato liscio), viene da chiedersi se venga fatto ogni tanto un tagliando dell’approccio comunicativo della Santa Sede. L’apparato istituzionale relativo è quasi ipertrofico, ma certi passi falsi sono stati ricorrenti.

Il feeling con Fazio

Quanto al carattere personale della scelta di Francesco di partecipare alla trasmissione di Fazio, esso pure è solare. Appare evidente la simpatia di Jorge Mario Bergoglio per l’impostazione, probabilmente anche lo stile, in ogni caso l’orientamento di un conduttore come Fazio. Con i tempi che corrono, sarebbe stato sorprendente (e non troppo rassicurante) che il Papa si fosse fatto intervistare da giornalisti come Vittorio Feltri o Maurizio Belpietro. Sarebbe stato come se, in passato, Benedetto XVI avesse rilasciato un’intervista a Peter Gomez.

Quanto alle polemiche sulle mancate domande scomode e sulla (presunta?) registrazione dell’intervista, si tratta nient’altro che di provocazioni. Hanno, però, il pregio di svelare ciò che è comunque sotto gli occhi di chiunque voglia vedere: la volontà, diffusa nei media, di rivincita sulla Chiesa. È precisamente tenendo a mente queste condizioni che parlavamo della necessità di qualche messa a punto del rapporto con l’informazione.

Demitizzazione del papato o altro?

Concludiamo con la demitizzazione del Papato. Anche questo è un tema sul tavolo e la scelta di Francesco di partecipare (sia pure indirettamente, ovvio) ad un talk televisivo in prima serata lo ripropone in maniera eclatante. Non abbiamo scelto questo termine casualmente.

Demitizzazione è la parola impiegata da un importante teologo protestante del secolo scorso, Rudolf Bultmann, per designare il proprio approccio alla Scrittura. In quel caso si trattava, secondo l’autore tedesco, di riscoprire la storicità di Gesù di Nazareth, oscurata dall’enfatizzazione post-pasquale della fede nel Cristo. Si parva licet, non sorprenderà che una sorte in certo modo analoga possa toccare anche alla percezione sociale della figura dei successori di Pietro.

Semmai, colpisce che sia il Papa stesso a puntare tanto sul ridimensionamento dell’aura del suo ufficio. Non dimentichiamo, però, come la rimodulazione del peso del Papato nella Chiesa cattolica contemporanea sia parte qualificante del programma del pontificato corrente. Forse, quest’intento demitizzante è stato uno dei fattori decisivi del conclave di nove anni fa: piaccia o meno, potrebbe essere andata proprio così.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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