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Papa Francesco: reggere il timone della barca o barcamenarsi?

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Papa Francesco: il Pontefice regge il timone della “mistica barca” (vecchio nome della Chiesa che si considerava anche militante) o si barcamena? Il dubbio può venire, provando a seguire le prese di posizione del titolare della Santa Sede, specie nella sequenza e con il rilievo dato loro dai media.

Il rapporto della Chiesa cattolica con i mezzi di comunicazione è un nostro vecchio pallino. E sinceramente non siamo lieti di non essere stati smentiti nel riconoscimento in esso di uno dei principali nodi problematici del cattolicesimo del nostro tempo. Vediamo in che senso, prendendo spunto da esempi più o meno recenti di cronaca papale ed ecclesiale.

Linguaggio senza compromessi

Cominciamo dall’ultimo caso: la dura presa di posizione del Papa, pochi giorni fa, contro i medici che praticano l’aborto e tacciati di essere dei «sicari». Questa dichiarazione apre diversi fronti polemici. Quello a cui è stato dato più risalto è la laicità degli Stati e dei loro ordinamenti giuridici, in rapporto al Magistero della Chiesa in campo morale. Accusando di omicidio chi esercita una pratica medica lecita per molti ordinamenti statali, il Pontefice rispetta la distinzione tra Chiesa e Stato? Oppure, pretende di fare coincidere peccato e reato? Ovvero, ardisce addirittura insegnare ai legislatori civili il mestiere, quasi volesse sostituirsi a loro?

Per sapere se l’aborto sia un omicidio, basta sapere cosa significhi omicidio e a quale forma di vita si voglia impedire di vedere la luce praticandolo. La mistificazione attraverso le parole è un espediente retorico conosciuto, in Occidente, sin dall’antichità classica. Con gli espedienti, però, non si sopravvive a lungo. Papa Francesco, attraverso la ruvidezza verbale a cui ricorre con una certa frequenza, non ha fatto altro che ribadire un punto fermo del Magistero morale: se una legge non è giusta, non obbliga in coscienza quelli a cui è data. Incombe su tutti, invece, l’obbligo morale di disapplicarla. Il problema della laicità degli Stati e dei rispettivi ordinamenti non coinvolge il merito della morale cattolica su questo punto, salvo l’ovvia preferenza della Chiesa per il riconoscimento agli operatori sanitari dell’obiezione di coscienza, come nel caso italiano.

La cautela posticcia 

E allora, dov’è il problema di cui parlavamo all’inizio? Da dove si può ricavare l’impressione di un Papa e di una Chiesa che si barcamenano? Forse considerando come, nei giorni scorsi, mentre dava appunto dei sicari ai medici abortisti, parlando con i giornalisti Francesco si sia riferito ai metodi contraccettivi come ad una specie di prevenzione dell’aborto. Ha detto: «Un’altra cosa sono i metodi anticoncezionali. Questa è un’altra cosa. Non confondere». Aveva appena chiosato la considerazione sull’aborto come omicidio e su quanti lo praticano come sicari dicendo che le donne hanno il diritto (cioè, l’obbligo morale) di difendere ogni vita e non solo la propria.

Ora: che contraccezione e aborto siano due cose diverse è chiaro, perché nel primo caso si mira ad impedire la genesi di una vita, mentre nel secondo se ne interrompe una già in essere. Che bisogno c’era, allora, di evocare la contraccezione? Tenuto conto, tra l’altro, che il Magistero della Chiesa sul punto non è cambiato e afferma ancora l’illiceità morale di forme di elusione della generazione diverse dal ricorso ai periodi femminili infecondi? Come non pensare, dunque, che con quest’aggiunta posticcia si voglia dare l’impressione di una Chiesa non retrograda, non esageratamente “indietro”? Con quali risultati, però, non è dato sapere ed è difficile immaginare.

Il ruolo delle donne 

Potremmo fare anche altri esempi, sempre ricollegando dichiarazioni odierne e prese di posizione del passato recente. Ricordate la questione delle quote-rosa al Sinodo dei Vescovi, tuttora in corso? A suo tempo ne avevamo parlato come del lasciare intendere qualcosa che non può essere: nella Chiesa, la potestà di governo è connessa al possesso del requisito dell’Ordine. Siccome quest’ultimo sacramento, per la Chiesa, è precluso alle donne, non c’è verso: religiose e laiche possono fare molto nella comunità ecclesiale, ma non quello che non gli è riconosciuto di potere fare e che quindi, come chiunque, desidererebbero fare sopra ogni altra cosa.

Sempre parlando con i giornalisti di ritorno dal viaggio in Belgio, Papa Francesco è stato sollecitato sulle polemiche delle autorità accademiche (cattoliche!) di Lovanio nei confronti del suo insegnamento sul ruolo sociale ed ecclesiale della donna. Egli, rispondendo a proposito della comunità cristiana, ha richiamato una pregevole dottrina teologica qual è quella della convivenza nella Chiesa del principio mariano (femminile, materno) e del principio petrino (maschile, autoritativo), resa celebre dalle riflessioni di Hans Urs von Balthasar. E ha sostenuto la superiorità del principio mariano rispetto a quello petrino, ricordando che la Chiesa, come sposa di Cristo e madre dei credenti, è essenzialmente donna. Evidentemente, però, la teologia non è pane per tutti, specie se quasi tutti necessariamente si fanno un’idea sulla base della comunicazione di massa. In quest’ultima, non c’è certamente spazio per riflessioni alte sui principi, bensì solo per l’alternativa secca: donne prete, sì o no?

Il Papa che dice…

Terminiamo con quanto detto dal Pontefice a Singapore lo scorso 13 settembre, parlando del dialogo interreligioso ai giovani del Catholic Junior College. Indubbiamente, sentire stigmatizzare dal Papa che un cristiano possa affermare la verità della propria religione e sentirgli dire che tutte le religioni sono un cammino (valido) per “arrivare a Dio”, lascia perplessi. Negarlo o anche solo nasconderlo non sarebbe intellettualmente onesto.

Ancora una volta, però, a noi certe prese di posizione controverse sembrano dettate dall’ansia che, nelle singole occasioni e in generale, è suggerita a Francesco da un’epoca e da un mondo che sono dominati in lungo e in largo dalla comunicazione. Comunicazione permanente che, mentre sembra facilitare la comprensione attraverso la disintermediazione, spesso in realtà la distorce. Al punto, infatti, da condizionare non solo i destinatari dei messaggi, ma anche quanti li lanciano. È questa la grande verità sui media, soprattutto quando si tratta di internet e dei social: disintermediano da tutto, fuorché da loro stessi. I media non sono solo dei tramiti, ma condizionano sia il contenuto del messaggio, sia il suo grado di penetrazione nei destinatari.

La pastorale, oggi, è largamente una questione mediatica. È in questo mare che il Papa e la Chiesa si barcamenano, in acque ben lungi dall’acquietarsi.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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