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Papa Francesco e il Sinodo dei Vescovi: le quote rosa sono un debito pagato al “politicamente corretto”

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Papa Francesco: mentre la diplomazia della Santa Sede, considerata tradizionalmente la più antica del mondo, tesse una difficile tela tra Ucraina e Russia, il Pontefice è alle prese con la preparazione della prossima Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi. L’appuntamento è per ottobre, ma la sua preparazione è lunga: infatti, il Sinodo 2023-2024 è preceduto da una fase di ascolto e discernimento, a livello diocesano, in tutto il mondo. È una novità, quella dei Sinodi in tre fasi (preparatoria, celebrativa, attuativa), stabilita dal Papa nel 2018, con la Costituzione apostolica Episcopalis Communio.

Il merito dei lavori sinodali è certo gravido di interesse, anche perché il tema dell’Assemblea, questa volta, è tautologico: la Chiesa sinodale. Sappiamo bene quanto il Pontefice abbia investito su questo modo di intendere la vita della comunità ecclesiale. Tuttavia, è su un particolare procedurale che appuntiamo la nostra attenzione. Vale a dire, l’estensione del diritto di voto a tutti i partecipanti al Sinodo, compresi i laici, decisa negli ultimi mesi da Papa Francesco. 

Ragioni e quote rosa

Ci occupiamo di questa questione perché, sotto di essa, c’è un non-detto. Il non-detto è che fare votare tutti al Sinodo dei Vescovi, anche chi vescovo non è, anzi, pure chi (come le donne) non può essere nemmeno chierico, è una concessione fatta al “politicamente corretto”. In altre parole, alle regole del mainstream.

Non trascuriamo, comunque, ciò che è stato detto e diamo subito conto della spiegazione della decisione pontificia, fornita dai cardinali Grech e Hollerich, rispettivamente Segretario generale e Relatore dell’Assemblea del Sinodo. Poiché la fase preparatoria (di ascolto e discernimento) ha per protagonisti anche e soprattutto i laici, è parso bene che di questa fase si faccia memoria nella fase celebrativa del Sinodo. È quanto si punta ad ottenere cooptando, come membri di pieno diritto di quest’ultima, un gruppo di laici, insieme a sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose. Insomma: chi è stato protagonista della preparazione del Sinodo, dev’esserlo anche della sua celebrazione (e relative determinazioni). Si dà, così, visibilità alla relazione di circolarità tra le funzioni di profezia del Popolo di Dio e di discernimento dei Pastori. 

Il carattere episcopale del Sinodo, secondo i due porporati, resta comunque assicurato da due elementi. Il primo: le proporzioni numeriche dei partecipanti alla fase celebrativa (meno del 25% non-vescovi, più del 75% vescovi). Il secondo: la modalità di designazione dei membri non-vescovi, scelti dal Papa tra nominativi individuati (e non eletti) dagli enti esponenziali delle Conferenze episcopali dei cinque continenti. Particolare non trascurabile, è espressamente prevista la quota-rosa: metà dei membri non-vescovi dev’essere di sesso femminile. La partecipazione dei giovani deve semplicemente essere valorizzata, ma senza quote.

L’apparenza: dura lex, sed lex

Torniamo al “politicamente corretto”. Ad attestarne la pertinenza al tema, basta l’ultimo particolare, quello delle quote rosa. A noi, però, interessa l’insieme del problema e non i particolari. A fare tempo dagli anni 70 del secolo scorso, l’autorità è una pratica entrata in crisi profonda nel mondo occidentale, cioè quella parte di mondo che è stata lo zoccolo duro della cristianità. La Chiesa, che sa di essere nel mondo pur non essendo del mondo, non è rimasta impermeabile a questo cambiamento. E, comunque, ritiene di non potersi più permettere di dimostrarsi tale.

Anche la Chiesa, quindi, accetta, in taluni casi, la logica dei mezzi di comunicazione di massa: quella dell’apparenza. Ciò che appare s’impone, a prescindere dalla sua effettività e consistenza.  Nel caso concreto: la Chiesa non può fare a meno di realizzare qualche cambiamento nel Sinodo, anche se non dovesse essere particolarmente rilevante, perché deve comunque dire di averlo fatto. Nella Chiesa, la funzione dell’autorità compete a quanti sono rivestiti del sacramento dell’Ordine, cioè i chierici: da qui non si scappa. La Chiesa stessa, però, deve lasciare intendere che non sarebbe proprio così: anche se, invece, effettivamente lo è.

L’autorità dei vescovi

Nella Chiesa, non c’è un’autorità diversa da quella dei vescovi. Il Papa stesso è tale in quanto vescovo di Roma, successore di Pietro, capo del primo Collegio dei Vescovi, costituito dal gruppo degli Apostoli (i Dodici evangelici). La Chiesa non può non essere gerarchica, altrimenti non è più la Chiesa. Nell’altro mondo, le cose saranno necessariamente diverse, quando Dio sarà “tutto in tutti” (1Cor 15, 28). In questo mondo, la Chiesa è fondata sugli Apostoli. Gli apostoli di oggi, i vescovi, non sono avulsi dalle loro comunità e ci mancherebbe. Nondimeno, non possono dire ai laici: decidiamo insieme come si fa la Chiesa. Debbono dire loro: prima ci consultiamo con voi e poi vi diremo cosa faremo, noi e voi, insieme. 

Il fatto è che, nella società dell’immagine, quella di qualcuno che dice a qualcun altro cosa bisogna fare è mal tollerata. Sicché, vai con i laici che votano insieme ai vescovi, vai con le quote rosa, vai con la distinzione tra elezione ed individuazione e via dicendo. Non bisogna dimenticare, d’altra parte, che il Sinodo dei Vescovi è un organo, di regola, solo consultivo e non deliberativo. Il Papa può eccezionalmente renderlo tale, ossia decidente, ma solo se ed alle condizioni che egli voglia. Infatti, solo il Papa e il Concilio ecumenico per la Chiesa universale e solo i vescovi per le rispettive chiese particolari sono le autorità decidenti nella Chiesa. Si vedrà, quindi, se il prossimo Sinodo sarà o meno deliberativo: ancora non si sa.

Preghiere, non contestazioni

In conclusione, dobbiamo ai lettori una parola sulla ragione profonda di questa riflessione. Comprendiamo benissimo che la sinodalità non è una questione di procedura, ma un modo di intendere il “fare Chiesa”: è un’inclinazione, un’attitudine, una disposizione. Non siamo come quanti non riescono, ovvero (più probabilmente) non vogliono capirlo. 

Non siamo qui a contestare il Papa, bensì ad incitare alla riflessione quelli che lo contestano pubblicamente dentro la Chiesa. Il Papa che decide per le quote rosa nel Sinodo dei Vescovi è il Papa che si barcamena nella società dell’immagine e del “politicamente corretto”. Dobbiamo pregare per il Papa, non coltivare la presunzione di spiegargli come si fa: lo sa almeno quanto noi.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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