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Quando arriverà Mario Draghi?

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Mario Draghi: nei colloqui politici e non solo sottotraccia ricompare sempre più spesso il nome dell’ex governatore della Bce. A maggior ragione dopo l’articolo sul Financial Times, dove ha vergato la sua ricetta per uscire da questa crisi causata dal Coronavirus. Di lui si parla come presidente di un eventuale governo di unità nazionale.

Intanto l’opposizione ha scomodato pure il presidente Mattarella per costringere Conte a recarsi in parlamento ed uscire dal suo solipsismo. E chiede a gran voce di collaborare alla soluzione della crisi. Fastidio è l’unica sensazione che ci hanno provocato i discorsi uditi in Parlamento. Il rumore del gesso sulla lavagna. Quello che tutti ripetevano è “siamo in guerra”. E in guerra l’esercito ha bisogno di un solo capo che dia ordini e non di una “conferenza dei capigruppo” che decida a maggioranza la linea. Soprattutto quando oggi la linea contro il Coronavirus è condivisa da quasi tutte le nazioni coinvolte, dal Regno Unito all’India a Israele alla Francia al Brasile.

Con chi ripartire

Presto o tardi, verrà il momento della ripartenza. Quando torneremo ad affacciarsi al mondo – e ci accorgeremo che non sarà più lo stesso e non lo tornerà più per diverso tempo – allora, forse, il governo attuale potrebbe diventare superfluo. Potrebbe essere il momento di cambiare maggioranza e di fare un governo di “unità nazionale”, un governo di tutti, nessuno escluso. Con a capo Mario Draghi?
Proviamo ad immaginare – e siamo nel campo della più assoluta Shangri-La – un Conte (novello Churchill) che viene sfiduciato da Pd e Movimento 5 Stelle ed è costretto a rassegnare le dimissioni.

L’incarico al Quirinale

Mattarella, dopo essersi reso conto che tutti i gruppi parlamentari chiedono di formare un governo di unità nazionale, convoca Mario Draghi al Quirinale.

Draghi accetta con riserva e prova a stilare una lista di ministri: due o tre, se non di più, vanno ai 5 Stelle che comunque rimane il gruppo parlamentare più numeroso. E Di Maio non può essere lasciato fuori. E neppure Bonafede. Altri due o tre dicasteri vanno al Pd di Zingaretti. Azzardiamo un Del Rio, De Micheli e Franceschini? Un posto a Forza Italia. La Gelmini torna alla Pubblica Istruzione. Due alla Meloni. Sperando in un posto per Crosetto, persona di buon senso, un altro andrebbe o a Ignazio La Russa o alla stessa Meloni. La Lega ne vorrebbe almeno quanti Di Maio e il Pd. Tre posti di peso, tra cui senza dubbio Salvini, che – a nostro parere – insisterebbe per riavere il Viminale. Borghi o Bagnai all’Economia. Qualche strapuntino verrebbe lasciato ovviamente a Leu e a Renzi.

Il primo governo Draghi

Ma, al di là del divertissement del manuale Cencelli, sinceramente, ce lo immaginiamo Mario Draghi in questo contesto? Il serio e tetragono grand commis abituato a trattare con frau Merkel, con monsieur Macron e Christine Lagarde?Quel Mario Draghi che è stato direttore esecutivo della Banca Mondiale, presidente del Financial Stability Board, Governatore della Banca d’Italia e della Bce, che si mette a discutere – in consiglio dei Ministri – con i leghisti Borghi e Bagnai sull’eventuale uscita dall’euro?

E del resto, se si parla di governo di unità nazionale, non si può certo escludere la Lega, né Berlusconi, né la Meloni. E magari il prossimo governo Draghi potrebbe avere ancora Di Maio agli Esteri e Bonafede alla Giustizia, come Salvini all’Interno. Né si può immaginare, a nostro parere, un Conte ter con Salvini e Di Maio vicepremier e Draghi all’Economia. Che Draghi conosca tutte le porte giuste, europee e mondiali, è fuori di dubbio. Che sia Mario Draghi e non altri ad avere la chiave per trarre l’Italia dalla paurosa recessione che ci attende è altrettanto pacifico. Che lo possa fare da capo di un (rissoso) governo di unità nazionale ci sembra più che improbabile e forse ridicolo.

Renzi e Meloni superstar

Anche perché con la fine del 2020 ci si avvicina alla fine della legislatura. E tutti i partiti vedrebbero nel governo di unità nazionale solo un trampolino per aumentare la propria visibilità a fini biecamente elettorali. E potremmo così trovarci Renzi ministro della Cultura che illustra le bellezze di Firenze in streaming un giorno sì e l’altro pure. O la Meloni vestita di tricolore con in testa un copricapo a forma di torre come Anna Magnani nel Soldato innamorato che arringa le folle dall’altare della Patria. O Salvini che riparte con le dirette Facebook dai tetti di Roma.

Ammettiamolo, è l’ultima cosa di cui avremmo bisogno, quando ci troveremo ancora in Europa a trattare, per esempio, con l’economista tedesco Klaus Regling, capo del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), che ha sillabato: “Italia e Spagna devono inginocchiarsi”. O con Olanda, Danimarca e Svezia che si oppongono all’emissione degli eurobond, unico mezzo, anche secondo Tremonti e Mario Monti, per risollevare l’Europa dalla catastrofe.

Avremo bisogno di un politico che dica a tutti che se Olanda, Danimarca e Svezia escono dall’Ue non se ne accorge nessuno. Mentre se esce l’Italia l’Europa ha finito di esistere. Draghi è certamente la persona giusta. Ma non da palazzo Chigi. Semmai dal Quirinale.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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