Riforma della giustizia, cioè della Magistratura: si può essere politicamente in disaccordo e, come abbiamo detto parlando di riforme costituzionali in generale, si può esserlo a partire da punti di vista diversi. In democrazia, poi, si deve rappresentare il dissenso, facendovi eco anche attraverso l’informazione.
Quello che non si dovrebbe fare, in tutto questo, è affermare cose non vere, ovvero spacciare per elementi oggettivi quelle che, invece, sono delle semplici opinioni. Qui si mette alla prova l’autenticità dell’adesione allo spirito democratico, che temiamo sia ancora, nel nostro Paese, poco profonda.
L’opposizione del Corriere
Giovanni Bianconi, sul Corriere della Sera di mercoledì 29 e giovedì 30 maggio, ha pubblicato due pezzi inerenti alla riforma che stava per essere varata. Mercoledì, ha dato conto di un’udienza riservata, concessa dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al ministro della Giustizia Carlo Nordio e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che si sono recati al Quirinale per illustrare la proposta di revisione costituzionale voluta dal Governo. Il giorno dopo, il cronista si è incaricato di illustrare le conseguenze di questo colloquio, vale a dire i cambiamenti che sarebbero intervenuti nel testo, poi adottato come proposta dal Consiglio dei ministri n. 83 dell’esecutivo Meloni.
Bianconi, attraverso il contenuto, lo stile e il tono dei suoi articoli, ha dato voce al dissenso di cui parlavamo prima rispetto al merito della proposta governativa. Sin qui, niente di strano. Dobbiamo notare, per completezza d’informazione, come uno degli argomenti portati dal giornalista a sostegno della sua tesi sia il “ben altro”: ci vorrebbe ben altro, per la giustizia, che non la separazione dei ruoli e lo sdoppiamento del Csm. Infatti, dice sempre Bianconi, la battaglia di principio e la questione di bandiera (imputate soprattutto a Forza Italia) hanno poco o nulla a che fare con la soluzione dei veri problemi che affliggono la giustizia. Questa, naturalmente, è un’opinione e non la verità.
Una trappola infernale
Dicevamo, però, che è importante soprattutto non dire, né scrivere cose non vere. Ecco: quando Bianconi scrive, nell’articolo del 29 maggio, che la separazione dei poteri dello Stato e, dunque (sostiene sempre lui), l’autonomia e l’indipendenza di quello giudiziario, starebbero nella Prima parte della Costituzione, dice qualcosa che non è vero. Non che la separazione dei poteri non sia un principio insieme presupposto e implicato dalla Costituzione di uno Stato di diritto e democratico, qual è la Repubblica Italiana. Solo, non è vero che, nella sua Prima parte, essa venga esplicitata. In realtà, il giornalista fa un mix tra tre cose diverse: la giurisprudenza della Corte costituzionale sui limiti della revisione costituzionale, la Parte prima della Carta e i Principi fondamentali (artt. 1-12) che si trovano in testa a quest’ultima.
Per Bianconi, non è sufficiente dire che, secondo lui, la proposta governativa non andrebbe nella direzione giusta. Deve suggerire che sarebbe in sé illegittima. Non sarebbe semplicemente discutibile: sarebbe una non-proposta, siccome incostituzionale. E qui veniamo al dunque. Come fa il cambiamento della Costituzione ad essere incostituzionale? È chiaro che, se si vuole cambiare la Carta, gliene si vuole sostituire parti più o meno estese con altre, necessariamente diverse.
Quali sono i limiti della revisione? Il testo della Costituzione prevede un solo divieto esplicito, all’art. 139: non si può cambiare la forma repubblicana dello Stato. Poi, ci sono ovviamente anche dei limiti impliciti: limiti che però, secondo noi, potrebbero essere travalicati solo praticamente. Stiamo parlando del rispetto dei principi di eguaglianza, non-discriminazione, laicità dello Stato e libertà religiosa, per dire solo dei principali. Chi scriverebbe mai una revisione costituzionale con affermazioni discriminatorie, ovvero persecutorie?
Irragionevolezza e paradosso
Nell’articolo del 30 maggio, in cui si compiace dei cambiamenti a suo dire intervenuti, nella proposta infine licenziata dal Consiglio dei ministri, dietro suggerimenti molto penetranti del Colle, Bianconi tira in ballo la questione della (presunta) irragionevolezza di un altro aspetto specifico della riforma. Si tratta del diverso regime di designazione dei componenti dei due futuri Csm.
Inizialmente, pare che fosse intenzione di Guardasigilli e maggioranza mantenere l’elezione parlamentare dei membri laici e il sorteggio per i soli togati. Poi, si è passati all’individuazione aleatoria per tutti. Qui, il giornalista gioca sul crinale tra l’informazione generalista e quella specialistica. Irragionevolezza è, ad un tempo, un termine generico, utile ad esprimere il concetto di qualcosa che non sta in piedi razionalmente e un termine specifico. Ancora una volta, in questa seconda accezione, bisogna attingere alle sentenze della Corte costituzionale per capire di cosa si tratti.
La categoria della «ragionevolezza» delle norme, a nostro avviso, è tra le più problematiche tra quelle a cui ha scelto nel tempo di fare ricorso la Consulta, per giudicare la costituzionalità delle leggi ordinarie. Non sempre, infatti, la ragionevolezza è cristallina, cioè interpretabile univocamente. Facciamo due esempi. Nel caso del mantenimento nell’ordinamento della pena dell’ergastolo, è evidente come questo cozzi con l’art. 27, 3° comma della Costituzione, che stabilisce che le pene debbano tendere alla rieducazione dei condannati. Se la pena fosse perpetua, quale rieducazione sarebbe possibile? L’irragionevolezza è manifesta, in questo caso.
Per contro, è altamente opinabile contestare la ragionevolezza di modi diversi di designazione di componenti di estrazione diversa di un medesimo organo. I laici del Csm sono di nomina esplicitamente politica, mentre i membri togati dovrebbero rappresentare l’imparzialità e, così (per quel che può volere dire), l’impoliticità della giurisdizione. In più, è chiaro che il sorteggio (temperato o meno) ha di mira la riduzione dell’influenza delle correnti dentro la Magistratura. Si può non condividere l’obiettivo, ovvero ritenere inadeguato il rimedio prospettato, ma invocare l’irragionevolezza è troppo comodo. Infine e soprattutto, ipotizzare l’incostituzionalità di una revisione costituzionale ci pare un’iperbole del paradosso.
Presentazione del piatto da rivedere
Se mettiamo assieme il tutto e lo condiamo con la spezia preferita da Giovanni Bianconi, cioè il capo dello Stato e la Consulta come baluardi contro lo scempio della Carta, che portata ci viene servita alla mensa del Corriere? In sostanza, un’ostilità di merito completa nei confronti della riforma della giustizia proposta dal governo di Giorgia Meloni. Opinione, va da sé, pienamente legittima.
La forma, invece (la “presentazione del piatto”, per restare nella metafora culinaria), è decisamente irricevibile. La Costituzione, nella parte che disciplina l’Ordinamento della Repubblica, si può modificare e sono in molti, peraltro, a pensare che occorra farlo. La provocazione di chi, escludendone la modificabilità legale, lascia intendere che si potrebbe pervenirvi solo per vie di fatto, ha poco a che fare con l’informazione e per niente con il diritto e la democrazia.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.