Scontri a sfondo razziale nel Regno Unito: siamo in presenza di provocazioni dell’estrema destra, ovvero di una pentola col coperchio imbullonato che sta esplodendo? Negli ultimi anni, i sudditi di Sua Maestà hanno cominciato a scartare rispetto alle previsioni più gettonate nei loro riguardi: la Brexit, su tutto.
Ad ogni modo, moti di strada contro gli immigrati a partire da un episodio efferato di cronaca nera colgono di sorpresa, oltre Manica. Non che le questioni razziali siano sconosciute alla tradizione occidentale e la storia della Gran Bretagna (che meno di un secolo fa era ancora l’Impero Britannico) non fa eccezione, anzi. Tuttavia, sedizioni di piazza su tale sfondo fanno pensare più al Belgio, o al limite alla Francia, dove le scorie sociali di plaghe di mancata integrazione sono da tempo difficili da smaltire.
L’eccidio di Southport
La scintilla che ha scatenato l’incendio degli scontri nel Regno Unito è stata la brutale uccisione, per cause tuttora inspiegabili, di tre bambine di 6, 7 e 9 anni a Southport, città del Merseyside nell’area metropolitana di Liverpool. L’autore dell’eccidio del 29 luglio scorso in un centro per la prima maternità e l’infanzia è un cittadino inglese (gallese, per la precisione) di 17 anni, di famiglia di origini ruandesi. Il suo nome è Axel Muganwa Rudakubana. Tanto che – il nome e le origini familiari – pare siano bastati a dare il là a scontri violenti ed estesi.
Presi di mira sono risultati non solo luoghi di culto islamico ed alberghi ospitanti dei richiedenti asilo, ma anche i poliziotti, schierati in massa per contenere i tumulti. Si sa che in Inghilterra c’è poca o nessuna tolleranza per le violenze perpetrate in danno delle forze dell’ordine. Infatti, la macchina repressiva giudiziaria, istigata e coordinata direttamente dal governo laburista del premier Keir Starmer, ha già portato non solo a centinaia di arresti, ma anche a qualche condanna per disordini violenti. Le autorità hanno preso di petto la situazione, negando alle manifestazioni la dignità di proteste e derubricandole a semplici rivolte (riots). Tolleranza-zero contro i sediziosi è stata manifestata (sia pure con toni diversi) dallo stesso Re Carlo III, che si è fatto vivo per richiamare i valori condivisi di rispetto e comprensione reciproci.
Tutt’altra attitudine di fronte ai moti di Liverpool è stata invece dimostrata da Elon Musk. Il magnate di Tesla e di X ha postato un commento di fuoco: “Civil war is inevitable”, la guerra civile è inevitabile. Quindi, il secondo uomo più ricco del mondo ha denunciato la presunta sovietizzazione del Regno Unito, accusando il governo laburista di volere reprimere il dissenso e conculcare la libertà di manifestazione del pensiero, con le sue pressioni sui social media perché non facciano in alcun modo eco alle ragioni dei violenti.
Il rispetto dell’ordine e dei suoi tutori
Diciamo la nostra. Per prima cosa, il disordine pubblico non può essere tollerato. Non esiste che chiunque, impugnando un fatto di cronaca pure eccezionalmente efferato, si metta a fare danneggiamenti, interrompere servizi, minacciare e colpire persone private o agenti dell’ordine. Tra l’altro, è abbastanza evidente che gli episodi di cronaca vengono impugnati dai facinorosi essenzialmente come pretesti.
La reazione di Downing Street nel metodo ci pare non solo comprensibile, ma anche condivisibile. Sottolineiamo la conferma della tradizionale attenzione dei britannici per il rispetto dovuto alla divisa e a quanti la indossano. E rimarchiamo pure come, nella patria dell’Habeas corpus, non scandalizzi che il Governo coordini l’attività repressiva penale.
La cittadinanza, punto fermo contro gli eccessi
In secondo luogo, ribadiamo quello che ci sembra debba restare un punto fermo. La cittadinanza è un limite invalicabile, in un senso e nell’altro. Ci spieghiamo. Da una parte, non si può tornare indietro rispetto ad un consolidato concetto di cittadinanza come questione politico-giuridica, sganciata da pregiudizi legati alle appartenenze confessionali, al colore della pelle e alle origini familiari più o meno remote.
D’altra parte, non ci sembra ragionevole la posizione che afferma l’indifferenza, per gli Stati, tra chi è cittadino e chi non lo è. Si potranno discutere le condizioni normative previste per il riconoscimento della cittadinanza, ma sostenere che, in capo allo Stato, sussistano eguali obblighi nei confronti di cittadini e stranieri, non sta in piedi. È una posizione che non regge per ragioni di principio e per ragioni pratiche. Lo Stato nasce come patto tra i cittadini e costituisce la forma di solidarietà collettiva più alta e (si spera) più efficace. Il mondialismo, quali ne siano l’ispirazione e la coloritura (religiosa, politica, economica), se applicato alla politica degli Stati li snatura e, quindi, tendenzialmente li rovina.
Cittadino, persona, diritti e risorse
Così, transitiamo alle ragioni pratiche per cui per lo Stato i cittadini devono necessariamente venire prima degli stranieri. Si riducono ad una: la limitatezza delle risorse. Le risorse, del mondo e delle sue porzioni, sono limitate. Se lo Stato non provvedesse prima per i cittadini, vorrebbe dire che esso verrebbe deliberatamente meno alla sua stessa ragion d’essere.
Raccontarci che la persona viene prima del cittadino significa confondere piani diversi. Il tema è spinoso e sotto il più rigoroso embargo, perché è un tabu assoluto del politically correct. I diritti, tutti, costano e riconoscerne sempre di più e a tutti è fattivamente impossibile. Possiamo fare, rapidamente, l’esempio del diritto di asilo. Un conto è quando lo si riferiva essenzialmente a personalità come Voltaire o Gandhi; un altro conto è invocarlo per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, per le esigenze più diverse: quasi tutte rispettabili, ma quasi nessuna estinguibile.
Guardia alta contro le fake, ma…
Resterebbero da dire un paio di cose, cioè la coloritura politica della vicenda da cui siamo partiti e il tema della manipolazione degli individui e dei gruppi sociali da parte delle forme odierne della comunicazione. La politicizzazione dei fatti inglesi è evidente, a destra e soprattutto a sinistra: si è parlato di fascismo, specie nei commenti nostrani, persino in riferimento all’Inghilterra. Ricordiamo che gli inglesi, non avendo avuto il socialismo (e mantenendo tuttora solo la socialdemocrazia), si sono potuti risparmiare sia il comunismo, sia il fascismo.
Quanto alle fake news (come il fatto che l’eccidio di Southport fosse responsabilità di un immigrato), il problema è reale e non solo nel Regno Unito. La soluzione, però, difficilmente può essere la censura, concetto e pratica ormai virtualmente incomprensibili, almeno in Occidente. In più, bisogna guardarsi dal rischio che paventavamo all’inizio: né con la scusa della scomunica della destra di matrice non liberale, né in ossequio al politicamente corretto, conviene ignorare il rischio che malessere e disagio sociale a lungo sottostimati finiscano per esplodere.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.