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Sniffer dogs a caccia del Covid-19: un cane ci salverà?

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Gli sniffer dogs e i tamponi per il Covid-19. Aumentano sempre di più le richieste dei test per ospedali, scuole, case di cura e aeroporti. E questo incide, oltre che sui tempi d’attesa e sui limiti nell’affidabilità, sui costi che gli Stati sono costretti a sostenere per far fronte all’emergenza sanitaria.

Una soluzione al problema dei costi elevati e dei tempi troppo lunghi potrebbero essere proprio gli sniffer dogs, cani addestrati ad annusare e a riconoscere il Coronavirus. Con una precisione che si avvicina al 100% e superiore a quella del tampone.

D’altra parte ci sono sniffer dogs capaci di fiutare bombe e sostanze stupefacenti già utilizzati negli aeroporti. Anche in campo medico, ci si avvale delle loro capacità olfattive per rilevare malattie come il cancro o la malaria.

Il progetto di Helsinki

Questi cani, debitamente addestrati, già da qualche mese sono operativi all’aeroporto di Helsinki per controllare i passeggeri. Il progetto pilota dell’università della capitale finlandese è stato anche oggetto di un articolo di The Guardian ed è supervisionato da Anna Hielm-Bjorkman, docente presso la facoltà di veterinaria. Per lei questo metodo di screening “permetterebbe di identificare il virus prima dei test di laboratorio”; e potrebbe costituire una valida alternativa ai tamponi in termini di costi e di tempi di attesa. “È molto promettente”, sostiene l’esperta. “Se funziona, potrebbe rivelarsi un buon metodo di screening anche in altri luoghi”.

Come funziona?

Veniamo al procedimento di rilevazione del Coronavirus. Un campione di sudore o di saliva dei viaggiatori viene prelevato e inserito in appositi contenitori di metallo, che sono poi sottoposti al fiuto del cane (20mila volte superiore al nostro) in una cabina separata; lo sniffer dog poi segnala l’eventuale scoperta, con un movimento del corpo (per esempio si siede o si accuccia). Nello scalo di Helsinki tutti i soggetti risultati positivi all’esame olfattivo degli sniffer dogs sono indirizzati a un punto di valutazione, dove vengono sottoposti ai più tradizionali controlli di laboratorio con un’alta percentuale di successo. 

In questo modo, spiega The Guardian, i cani tra l’altro non sono a rischio di contrarre l’infezione, perché non annusano il virus vero e proprio, ma le sostanze chimiche volatili prodotte dal corpo come reazione al contagio. In più, i cani hanno mostrato fino ad oggi una scarsa suscettibilità al Covid-19; e non ci sono prove, attualmente, che sviluppino sintomi o possano trasmettere il virus a persone o ad altri animali. 

Gli altri Paesi e l’Italia

Diverse nazioni nel mondo si preparano a scovare il Coronavirus con l’aiuto del migliore amico dell’uomo e ulteriori sperimentazioni sono state condotte in Europa. Tutte evidenziano come i cani siano in grado di fiutare il Covid-19, anche se i soggetti testati non hanno ancora manifestato sintomi.

Secondo uno studio tedesco, infatti, composti chimici come il cortisolo e l’adrenalina sono prodotti in maggiore quantità durante l’infezione e rilasciano tracce olfattive specifiche. Mentre uno studio francese evidenzia l’alto tasso di successo ottenuto con gli sniffer dogs.

Secondo un altro articolo del Guardian, all’università di Adelaide, in Australia, e a Dubai stanno addestrando sniffer dogs a questo scopo. In Libano le forze dell’ordine, affiancate da un team di ricerca franco-libanese, li impiegheranno nell’aeroporto di Beirut. Anche il governo britannico ci lavora. E oltre alla Finlandia, altri studi sono già partiti in Spagna, Germania e Brasile; mentre in Cile i cani anti-Covid sono già per le strade.

E in Italia? Questo metodo è stato trovato interessante da diversi virologi ed è ancora in fase di studio (è in corso per esempio un progetto a Caldaro, in provincia di Bolzano). Per adesso non ha trovato concorde l’intera comunità scientifica, ma chissà che presto anche il nostro Paese non si unisca agli altri che puntano sugli sniffer dogs per identificare i positivi al Covid-19.

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Caterina Pagani è laureata in Scienze della Natura e dell’Ambiente all’Università di Parma. Pur avendo un percorso di studi scientifico, ha sempre amato la letteratura.
Studia il pianoforte ed è appassionata anche di cinema e viaggi. Ha gestito un caffè letterario collaborando con artisti emiliani, lombardi e provenienti da altre regioni d’Italia. Da quasi un anno ha aperto un blog personale, il Barile dello Zucchero, dove scrive articoli sugli argomenti che le piacciono e diari di bordo dei suoi viaggi.

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