Social: ma allora, insultare o diffamare qualcuno via internet è reato oppure no? Finora si era sempre deciso per il sì, confortati dall’articolo 595 del Codice penale. Afferma: “Chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione…” con quel che segue. E, com’è ovvio, il verbo “comunicando” si attaglia perfettamente all’idea di social. Di conseguenza, per “voci dal sen fuggite” su Twitter, Instagram o Facebook, negli anni sono fioccate fior di condanne.
Social: il caso Fedez-Martani
Circa un anno fa Fedez e Chiara Ferragni hanno diffuso immagini e video della festa di compleanno del cantante, svoltasi in un supermercato e che era finita con lanci di prodotti alimentari per gioco. Daniela Martani, ex concorrente del Grande Fratello 2009, aveva twittato: “Io ve lo dico da anni che sono due idioti palloni gonfiati irrispettosi della vita delle persone e degli animali, per far parlare di loro non sanno più cosa inventarsi. Fare una festa a casa era troppo normale, altrimenti chi glieli mette i like?”. E Fedez aveva querelato la Martani. Qualche giorno fa la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione in quanto “i social godono di una scarsa considerazione e credibilità”; dunque “non sono idonei a ledere la reputazione altrui”.
Social: il caso Ruby
Chi non ricorda Karima El Mahroug, meglio conosciuta come Ruby Rubacuori? Nel 2013 la presunta “nipote di Mubarak” aveva querelato 178 persone per diffamazione. “Si faceva solo scopare a pagamento” o “brutta troia” erano solo alcune delle espressioni, e nemmeno le più forti, usate sui social. Ebbene, pochi mesi fa, nel marzo scorso, il Gip di Milano ha archiviato (su richiesta conforme della Procura) tutte e 178 le querele perché “é indubbiamente vero che le sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello di Milano… abbiano ricostruito univocamente il rapporto tra l’imputato (Berlusconi, ndr) ed El Mahroug Karima in termini di rapporto di prostituzione…”. Di conseguenza, secondo il magistrato, non è reato scrivere queste frasi, anche usando parole volgari. Si chiama diritto di critica.
Tot capita, tot sententiae
Il famoso brocardo latino, Tot capita, tot sententiae (“ognuno la pensa a suo modo”), viene spesso tradotto dagli avvocati con “tutto capita nelle sentenze”. Nel foro, inteso come professione forense, si afferma anche che, cercando bene, si riesce sicuramente a trovare una sentenza della Cassazione che ti dà ragione, qualunque sia la tua posizione processuale.
Il problema, però, non è solo legale, anche se noi saremmo particolarmente seccati se qualcuno che ci ha insultato sui social riuscisse a farla franca. E questo atteggiamento potrebbe essere foriero di grossi problemi in futuro.
Il ruolo dei social
Molti di coloro che scrivono sui social sono convinti, facendolo dalla propria abitazione, magari in orari proibitivi, di godere dell’impunità. La maggior parte dei fruitori dei social difficilmente riflette prima di commentare. Ricordiamo il fiume di fango che si riversa sui post che riguardano casi particolarmente odiosi, come violenze nei confronti dei bambini, degli anziani ricoverati in strutture, delle donne picchiate, violentate e uccise.
Spesso chi commenta con parole di fuoco non ha neppure letto l’articolo: si basa sul titolo e parte col turpiloquio, nel quale si chiede immediatamente la forca per i colpevoli se non peggio. E gli insulti scomposti contro la Boldrini ogni volta che scrive qualcosa, e anche quando non scrive niente, o contro Elsa Fornero, Mario Monti, il caso Bibbiano… Insomma, i social a detta di molti sono la nuova arena nella quale deve per forza scorrere il sangue.
Sbatti il mostro nel post
Finora, anche se a fatica, la paura delle conseguenze penali e pecuniarie tratteneva gli odiatori seriali, per i quali è stato coniato il termine haters. Possiamo immaginare cosa succederà nella rete con questi “via libera”? Il problema è tanto più grave se pensiamo a quante persone deboli non si sentiranno più protette. A quante ragazze, per colpa dei social, si sono già tolte la vita, non riuscendo a sopportare quello che con un termine abusato si chiama “la gogna mediatica”.
Eppure la norma è così chiara: “Chiunque, comunicando con più persone…”. Non solo. Secondo alcuni giudici la diffamazione a mezzo social è addirittura aggravata, perché si può paragonare alla diffamazione a mezzo stampa, dato che, potenzialmente, raggiunge un numero indeterminato di soggetti. Da giuristi, oltre che da esseri umani, speriamo che altre, superiori, istanze pongano un freno a questa deriva, prima che sia troppo tardi.
Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.