Papa Francesco: nell’ultimo concistoro di pochi giorni fa, il Pontefice ha negato ancora il cardinalato all’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che non sembra averla presa benissimo. Come diceva qualcuno, infatti, una frecciata si può lanciarla anche col sorriso sulle labbra.
La scelta di nominare cardinale il vescovo di Como, monsignor Oscar Cantoni e non anche il metropolita meneghino è doppiamente sorprendente. Non solo perché in controtendenza (è pur vero, sperimentatissima da questo Papa) rispetto all’orientamento tradizionale di associare a Roma le sedi episcopali maggiori del mondo per popolo, storia, dimensioni e influenza.
La decisione spiazza anche perché, passato lo scorso anno, è caduta la ragione teoricamente opponibile al diniego della porpora a Delpini. Angelo Scola, l’arcivescovo suo predecessore e porporato sin dai tempi del patriarcato di Venezia, ha infatti compiuto 80 anni alla fine del 2021. È così uscito dal novero dei partecipanti al prossimo Conclave, in forza delle disposizioni di san Paolo VI del 1970.
Sicché, una volta elusa la possibile, doppia partecipazione alla ventura elezione papale di due vescovi della stessa sede, la strada della berretta a monsignor Delpini pareva spianata. Tanto più che egli si trova ad essere successore dei santi Ambrogio e Carlo proprio per volontà di Papa Francesco, che lo promosse cinque anni fa dall’incarico di vescovo ausiliare e vicario generale del cardinale Scola (altra scelta inusuale).
Reazione piccata
Chiamato giovedì scorso ad accogliere, a capo della Conferenza episcopale lombarda, il confratello (e suffraganeo) comasco, di ritorno nelle terre lariane dopo essere stato gratificato della porpora romana, Delpini si può ben dire abbia reagito in modo piccato. Col suo stile, a metà tra l’informale e il dimesso, ha sfoderato una serie di battute all’indirizzo del Papa, ma anche di Sua eminenza Cantoni e della diocesi di Como.
A proposito di Francesco, ha detto che nemmeno il Padre Eterno sa cosa pensino i Gesuiti (com’era Jorge Mario Bergoglio): per cui, vatti a spiegare perché il cardinale è a Como, anziché a Milano. E che, tifando per una squadra argentina non troppo vincente (si tratta del San Lorenzo, ma Delpini l’ha scambiato col River Plate), Francesco avrebbe sposato la causa dei comaschi, che lo scudetto calcistico lo vedono assegnato a Milano. Ha, poi, aggiunto che il Pontefice considererebbe “bauscia” i milanesi, quasi che costoro ignorassero dove e cosa sia Roma mater et caput della cristianità. E che, per questo, avrebbe deciso di non chiamarne il vescovo a condividere le responsabilità di governo della Chiesa universale.
A Milano un cardinale è di casa, ma…
Nelle parole di monsignor Mario Delpini, evidentemente, c’è non tanto l’amarezza personale, quanto quella di un popolo. Non dimentichiamo che Milano è tuttora e senza discussione la maggior diocesi italiana ed europea per dimensioni, tra le prime cinque al mondo per numero di fedeli e, appunto dopo Roma, la primatista mondiale per numero di presbiteri. Per non dire del legame originario tra l’Urbe e Milano, stabilito con l’elezione popolare del romano Ambrogio, padre della Chiesa, a capo della comunità cristiana lombarda, nell’anno 374. Milano fu al fianco di Roma, sotto la guida di Ambrogio, nel propiziare il trionfo della fede nicena sull’eresia ariana, ponendo le basi del cristianesimo che conosciamo e professiamo ancora oggi. È una chiesa particolare che vanta un rito proprio (diverso per calendario e specificità liturgiche), denominato giustamente ambrosiano.
L’ultimo arcivescovo di Milano a non ricevere il cappello (come si diceva allora) è stato il piemontese Luigi Nazari di Calabiana. Era lo scorcio del secolo XIX e Nazari divenne vescovo in luogo di Paolo Angelo Ballerini, intransigente oppositore dell’unificazione italiana a scapito dello Stato Pontificio, impedito ad assumere l’incarico dal mancato “Exequatur” del governo italiano, nel 1867. La Santa Sede dovette ripiegare su un prelato conciliatorista e buon amico di Casa Savoia (era stato senatore del Regno di Sardegna ed era Collare dell’Annunziata), ma né Pio IX, né Leone XIII gli concessero mai la porpora. Questione delicata, con evidenti implicazioni politiche, anche internazionali: niente a che vedere con l’attualità.
Francesco e gli italiani in Conclave
Riguardo alla reazione di monsignor Delpini, abbiamo già notato quello che le circostanze suggeriscono. L’amarezza è tanta, ma la temperanza è una virtù, tanto più preziosa per chi disimpegna responsabilità ecclesiali elevate.
Riguardo alla scelta di Papa Francesco, ribadito che, relativamente all’Italia si tratta, per quanto lo concerne, di una prassi ormai consolidata, facciamo solo le seguenti, due considerazioni.
Innanzitutto il Papa è assolutamente libero di scegliere chi fare cardinale. E, come sanciva la giurisprudenza classica in uno dei suoi fondamentali precetti, chi esercita un proprio diritto non nuoce ad alcuno (“Qui iure suo utitur, neminem laedit”). Sarebbe stato meglio, forse, se, a fronte di una volontà così libera e forte, anche nell’infrangere tradizioni consolidate e non sempre immotivate, la stampa e il mainstream non avessero accreditato l’idea di Francesco come Papa mite e modesto. Nonché semplice pastore, con l’odore delle pecore (come ama dire egli stesso) e basta. È stato in passato e si conferma oggi un ecclesiastico di governo, con le idee abbastanza chiare e ben determinato ad imporle. Per stare al Collegio Cardinalizio, Papa Bergoglio ha nominato 121 porporati in 9 anni, quando san Giovanni Paolo II ne aveva creati 231 in poco meno di 27 anni.
In secondo luogo, nominare cardinali, in Italia, i vescovi di Agrigento, Siena e Como, anziché quelli di Torino, Milano e Palermo, non vuole dire soltanto ricordarsi dei “piccoli”. Significa anche che l’idea, già risalente e ben radicata, che l’Italia non debba a lungo tornare ad esprimere il Papa, è assolutamente condivisa da Francesco. Infatti, i vescovi dell’Aquila e di Perugia non reggono, in Conclave, il confronto “dimensionale” con quelli di New York, Rio de Janeiro e Parigi. È vero che il Papa è stato italiano per secoli: per lo più, però, quando l’Italia era una mera espressione geografica. In ogni caso, Papa Francesco non stima oggi il nostro Paese e la sua Conferenza Episcopale delle buone fucine per il soglio, sul quale egli stesso attualmente siede.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.
Articolo scritto molto bene. Il migliore che abbia letto sulla vicenda finora (anche comparandolo con quanto scritto dalle “penne” delle grandi testate giornalistiche). Ci sono stati 4/ 5 concistori da quando SE Mons Delpini è stato nominato Arcivescovo e in nessuno di essi è stato fatto cardinale. Come hanno fatto notare eminenti osservatori forse pesano vecchie e delicate vicende che hanno avuto vasta eco fra l’opinione pubblica e che renderebbero titubante qualsiasi pontefice a nominare cardinale l’attuale Vescovo di Milano. In particolare Papa Francesco, che ha speso molte energie per la lotta alla pedofilia nella Chiesa, non può rimanere sordo agli strazianti appelli dei famigliari delle vittime che hanno chiesto le dimissioni di Marius Archiepiscopus (nominato tale nel luglio del 2017 mentre la prima condanna delle autorità civili è del settembre del 2018) per il suo operato, che il suo stesso predecessore – il Cardinale Scola – avrebbe definito “maldestro”.
Nell’associarmi ai complimenti per l’eccellente articolo, faccio sommessamente notare che anche il vescovo di Como ha i suoi scheletri nell’armadio: https://bit.ly/3Bgmju3
è incomprensibile che l’arcivescovo di Milano non venga elevato alla porpora cardinalizia
Sono completamente d’accordo, lo ritengo un affronto per i milanesi. No esistono motivi validi, se Delpini non va bene che lo si cambi e nomini uno degno di avere la porpora cardinalizia.