Var: chi si aspettava potesse essere una completa rivoluzione, sarà rimasto deluso. Tanto peggio per quanti avessero pensato potesse rivelarsi una panacea alle polemiche.
Perché, com’è innegabile che l’assistente al video giovi alla correttezza dei risultati, così è indubitabile che l’arbitro non possa essere soppiantato dalla tecnologia. I termini stessi con cui la novità è stata introdotta in Serie A non legittimavano originariamente nessuna fuga in avanti. E allora vediamo a quali condizioni opera il Var nel massimo campionato di calcio e quali sono i problemi “in campo”.
L’identikit
Var è l’acronimo di Video assistant referee. È l’ufficiale di gara che, assieme a un vice (Avar), collabora con l’arbitro visualizzando le immagini televisive relative a episodi dubbi dell’incontro. La sua introduzione è stata approvata dall’organismo internazionale di regolamentazione del calcio (Ifab) nel 2016. Ha ormai esordito anche nelle competizioni Fifa e Uefa. In Italia, il sistema Var è utilizzato dalla scorsa stagione (2017-2018).
Nuove restrizioni
Il protocollo in vigore, rivisto prima dell’inizio dell’annata in corso, è più restrittivo che in precedenza. Il Var può intervenire solo in caso di “grave ed evidente errore” dell’arbitro in campo o di “grave episodio non visto”. Restano poi 4 i casi tassativi nei quali è possibile ricorrere alla tecnologia:
- rete segnata/non segnata;
- calcio di rigore assegnato/non assegnato;
- espulsione diretta;
- scambio d’identità per l’assunzione di provvedimenti disciplinari.
Chi decide?
Uno dei pochi aspetti chiari è che l’arbitro non può omettere una decisione di gioco demandandola al Var. Il direttore di gara deve sempre prendere una decisione. Sarà poi il reciproco consulto audio con l’assistente al monitor a consigliare eventualmente una procedura di revisione. Altrettanto chiaro è che la decisione finale spetta sempre e comunque all’arbitro. È detto pure chiaramente che una volta avviata la revisione – comprensiva o meno della consultazione a bordo campo dei replay anche da parte dell’arbitro – non ci sono limiti di tempo per la procedura.
Var e tempo effettivo
Quest’ultimo aspetto concerne direttamente un nervo scoperto della cosiddetta “moviola in campo”: il problema del tempo effettivo. Perché è chiaro che, se le sospensioni prolungate per intervento del Var fossero numerose, si rischierebbe di giocare quasi un tempo supplementare. Questo però non dovrebbe poter avvenire senza un’esplicita correzione del regolamento. Un conto infatti è il recupero, che normalmente non eccede i 5 minuti. Altro conto è prolungare il match di 10 minuti o più.
Qualche passo avanti, in termini di protocollo, è stato comunque fatto rispetto all’anno scorso. Ad esempio, in ordine alla possibilità di interrompere il gioco successivamente all’azione “incriminata”. Il punto numero 10 dei principi del protocollo recita che, se il gioco è ripreso, l’arbitro può procedere a revisione solo per scambio d’identità o per espellere per condotta violenta. Dovrebbero esserci, così, limiti più rigorosi alla retroattività delle decisioni.
Casi limite e inspiegabili
Ma poi ci sono i casi limite, in cui l’applicazione pedissequa della regola sembra spingersi fino a tradirne lo spirito. Come in Spal-Fiorentina dello scorso febbraio, in cui in meno di un minuto si è passati da 2-1 a 1-2 per decisione tecnologica. Rigore non dato agli ospiti, sul ribaltamento dell’azione gol dei locali, poi annullato per far battere il rigore assegnato in revisione. Qui entrano in gioco anche i tempi di valutazione delle immagini da parte dell’assistente Var e quelli di comunicazione con l’arbitro.
E veniamo ai casi inspiegabili. Per accennare solo all’ultimo, quando in Fiorentina-Inter di due settimane fa l’arbitro ha assegnato il rigore del pareggio ai viola in pieno recupero. Le immagini, che pure il signor Abisso ha personalmente controllato, evidenziavano che era tocco di petto e non col braccio. Nondimeno, il direttore di gara ha confermato la massima punizione, dando peso a un dubbio più che altro filosofico.
Il Var aiuta, ma…
Proviamo a mettere un punto. In generale, non c’è regola che possa funzionare di per sé, ove mancasse la buona volontà in quanti devono applicarla. Il fatto che il calcio sia un gioco più che uno sport non aiuta, da questo punto di vista. Si gioca per battere l’avversario, non per superare se stessi: e la tensione fra le squadre e le tifoserie si riflette sulla direzione di gara. Quanto al rodaggio di una novità come il Var, i tempi non possono essere brevi. Ed è ragionevole prevedere che ci vorranno più di 2 stagioni per migliorarne protocollo e applicazione.
Un equivoco, però, va tolto di mezzo decisamente. Ed è che l’assistenza del Var possa finire per soppiantare l’arbitro. Le regole sono chiare (come la distinzione tra decisioni oggettive e soggettive), ma la suggestione c’è ed è innegabile. Purtroppo, alimenta un’illusione. L’arbitro come vero e solo decisore è un tutt’uno con il calcio per come lo conosciamo e viene praticato. È vero che il football muove più interessi che in passato. Ma questo non basta a stravolgerne un ingranaggio costitutivo e per questo fondamentale. Almeno, non ancora e non è nemmeno detto che sia un male.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.