Piacenza

Vini biologici o naturali? Facciamo un po’ di chiarezza per gustarli come meritano

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La visione manichea delle cose non mi appartiene, incluso quando si tratta di vino. A proposito dei vini naturali, per esempio, sono soventi esaltazioni o condanne tout court, anche di coloro che si presentano come grandi intenditori. Vorrei pertanto spendere due parole non a suffragio di una “scuola di pensiero” o dell’altra, quanto per aiutare un minimo a capire la differenza che intercorre tra le varie tipologie in cui è ormai sempre più comune imbattersi, certo non solo per moda.

Parto però da una considerazione banale ma basilare: reduce da decenni (altri tempi!) nelle campagne piacentine in cui ti offrivano il vino dicendoti “l’è mìa tant bõn ma l’è natüral” (non è tanto buono, ma è naturale), ritengo che il vino debba anzitutto essere gradevole, tanto al gusto quanto all’olfatto… e poi si discute del resto.

Il vino biologico

Sentiamo parlare di vino biologico e naturale come sinonimi, ma è sbagliato: il biologico viene identificato dal consumatore come prodotto buono e sano per l’ambiente e per chi lo beve (cosa che spesso, escluso in terra piacentina sia chiaro, non è…), confondendolo col “vino naturale”; una definizione, quest’ultima, che però dal punto di vista legislativo non significa nulla. È il Regolamento Ue 203 del 2012 che definisce infatti la dicitura “vino biologico”… con un ecumenismo che ha finito per deludere molti: esclude solo pochi processi e pratiche enologiche particolarmente invasive, che sono appannaggio dei più dozzinali vini industriali.

Per essere biologico un vino va fatto con uve appunto biologiche, coltivate senza l’uso di antiparassitari chimici, senza Ogm, e nel rispetto del rapporto terreno-pianta-clima, guardando a un modello di sviluppo sostenibile certificato. A proposito dell’addizione di solfiti (l’anidride solforosa, maggior imputata dei cosiddetti “hang over”, nonché un allergene) anche qui la norma ha optato solo per una minima riduzione dei limiti massimi consentiti. In estrema sintesi, ad oggi i biologici possono condividere con i vini naturali il tipo di conduzione agronomica del vigneto, ma ammettono pratiche di vinificazione in cantina più marcate che non si discostano in maniera rilevante da ciò che è consentito nella vinificazione convenzionale.

Vini naturali e biodinamici 

Diversamente dal biologico, l’esistenza stessa del vino naturale non ha ricevuto riconoscimento formale da parte delle istituzioni dell’Unione europea; il vino biologico e quello naturale risultano poi diversi per la concezione interventista dell’enologia che caratterizza il primo. I vini naturali nascono dall’attenzione per la biodiversità in vigna e dalla convinzione che proteggendola ci si avvicini un po’ di più all’autenticità del vino, alla sua anima fatta di una combinazione di terra, clima, frutto e intervento umano sempre irripetibile. Vini, insomma, che tendono a star lontani da ogni tipo di standardizzazione e quindi certificazione.

Discorso ulteriore per il vino biodinamico: un’agricoltura che allontana completamente la chimica e riduce al minimo l’uso di macchinari; si basa, secondo una sua concezione, sul rispetto del corso spontaneo della natura – in particolare delle fasi lunari – per ottenere piante capaci di difendersi autonomamente dai parassiti.

E i macerati? 

I vini macerati sulle bucce nascono da uve bianche, ma – semplifico – vinificati come i rossi, e cioè mantenendo le bucce a contatto con il mosto per un periodo più o meno lungo. È una strada audace percorsa da pochi, ma è anche una scelta chiara e precisa per produrre un vino capace di uscire dagli schemi e suscitare sensazioni inconsuete, e per certi versi estreme. Attenzione: non tutti i vini macerati diventano degli Orange Wine!

Un tris di etichette

Tra le realtà virtuose piacentine oggi propongo l’Azienda Vitivinicola La Stoppa: si trova ad Ancarano di Rivergaro, in Val Trebbia, ed è condotta da Elena Pantaleoni affiancata da Giulio Armani. I suoi vini Tripla A (Agricoltori Artigiani Artisti) sono decisamente identitari: la fermentazione avviene spontaneamente, senza l’aggiunta di anidride solforosa e a temperatura ambiente, con lunghe macerazioni. Partiamo dal Vigna del Volta, un apprezzabilissimo passito, solare, caldo dove sono riassunte tutte le peculiarità della zona e della Malvasia di Candia aromatica: dalla bocca dolce ma equilibrata e non stucchevole, con un finale agrumato bello lungo. Al naso spiccano albicocca, uva passa, fico, spezie orientali, tanto miele e sentore minerale.

Meno immediato e piacione, Ageno richiede un minimo di “preparazione” ma è sicuramente un vino dalla particolare finezza. Protagonista Malvasia di Candia aromatica dopo quattro mesi di macerazione sulle bucce e affinamento in tini di legno e bottiglia; ben strutturato e secco, è sorretto da una discreta spalla acida. Il naso ampio anticipa la straordinaria complessità del vino. In bocca, decisamente espressivo, emoziona restando impresso: nel calice lo preferisco non troppo freddo, per goderne appieno la ricchezza. Da provare con un’insalata di lingua e salsa verde.

Infine, impegnativo e interessante, propongo Macchiona: Barbera e Bonarda in una versione diversa, nuova praticamente ogni anno. Fa più di un mese di macerazione sulle bucce e un anno di affinamento in botti di rovere. Di gran coerenza tra esame olfattivo e gustativo, regala un bel naso scuro, decadente, erbaceo, con pelle ma anche legno, lieve tabacco e liquirizia, dai dolci sentori di frutta rossa in confettura, sfumature speziate e lievi toni ossidativi. Alla bocca l’assaggio è corposo e pieno, gradevolmente minerale e di ottima persistenza. Da abbinare a piatti di grande struttura fino a formaggi intensi (un Castelmagno stagionato, per esempio). Null’altro da dire se non di ricordarsi di osare sempre, anche alla scoperta dei prodotti delle nostre valli piacentine.

 











Sante Lancerio
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