Cartier-Bresson racconta l’America. Il Lu.C.C.A. (Lucca Center of Contemporary Art) celebra il grande fotografo parigino con un’esposizione di 101 immagini in bianco e nero. Tutti scatti che Cartier-Bresson ha realizzato negli Stati Uniti a partire dalla metà degli anni Trenta fino al termine degli anni Sessanta.
La lezione americana
Le immagini in mostra fino all’11 novembre, raccolte in collaborazione con Magnum Photos e Fondation Henri Cartier-Bresson, sono riuscite a catturare la realtà e l’essenza della vita americana di allora. Il grande fotografo “posa il suo sguardo sulla società dei consumi per eccellenza e sul suo mondo effimero”, sottolinea Maurizio Vanni, curatore di “Henri Cartier-Bresson. In America”. Così, offre uno sguardo unico, “frapponendo la sua arte senza tempo, durevole e solida, alla fragilità e fugacità di una comunità che ha smarrito il senso vero dell’esistenza. La rincorsa di un modello di vita utopico, votato all’eccesso, al sogno, alla grandezza, alla rottura delle convenzioni, alla tecnologia risulta essere più vicino alla fiction che alla realtà, che si manifesta così in tutta la sua banalità, disperazione e crudezza”.
Cartier-Bresson visto da Miller
Il lavoro del fotografo, definito “l’occhio del secolo”, aveva colpito anche il grande drammaturgo Arthur Miller. “C’era un sacco di sfarzo in America negli anni Sessanta e Settanta, sì e negli anni Quaranta, l’era delle immagini”, racconta Miller. “Ma chiaramente Cartier-Bresson cercava di metterselo alle spalle per arrivare alla sostanza della società americana. E dal momento che la sua è fondamentalmente una visione tragica, ha reagito con maggiore sensibilità a ciò che in America ha visto come correlato al suo decadimento, al suo dolore”. Nei suoi scatti quindi il paesaggio passa in secondo piano. Ed esce rafforzato l’elemento umano, il valore delle persone e dei loro gesti.
Dalla pittura alla Leica
Ma chi era Cartier Bresson? Henri nasce il 22 agosto 1908 a Chanteloup, Seine-et-Marne, nei dintorni di Parigi, da una famiglia alto borghese. Da ragazzo sviluppa precocemente una forte fascinazione per la pittura, in particolare per il Surrealismo.
Nel 1932, dopo un anno in Costa d’Avorio, scopre la Leica, la macchina fotografica che sceglierà di utilizzare da quel momento. E da lì scaturirà la passione per la fotografia che lo accompagnerà per tutta la vita. L’anno dopo arriva già la sua prima mostra alla Julien Levy Gallery di New York. Poi realizza alcuni film con il regista Jean Renoir.
Catturato dai tedeschi nel 1940, Cartier-Bresson riesce a scappare al terzo tentativo nel 1943. Poi si unisce a un’organizzazione clandestina per assistere prigionieri e fuggiaschi. Nel 1945 fotografa la liberazione di Parigi e in seguito dirige il documentario Le Retour (Il Ritorno). Nel 1947, con Robert Capa, George Rodger, David “Chim” Seymour e William Vandivert, fonda la Magnum Photos.
Cartier-Bresson e il momento decisivo
Dopo tre anni in Oriente, il fotografo torna in Europa nel 1952. E pubblica il suo primo libro, Images à la Sauvette (in inglese The Decisive Moment), dove spiega il suo approccio alla fotografia. “Per me la macchina fotografica è un quaderno degli schizzi – scrive Cartier-Bresson – uno strumento di intuizione e spontaneità, il padrone dell’istante che, in termini visivi, interroga e decide nello stesso momento. È attraverso l’economia di mezzi che si arriva alla semplicità dell’espressione.”
Dal 1968 inizia a ridurre gradualmente l’attività fotografica e si dedica al disegno e alla pittura. Nel 2003 con la moglie e la figlia crea a Parigi la Fondazione che porta il suo nome. E il 3 agosto 2004 Cartier-Bresson scompare nella sua casa in Provenza, una ventina di giorni prima del suo 96° compleanno.
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