Economia

Artigianato in pessima salute: chiudono mille imprese al mese

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Artigianato in pessima salute. E basta un dato per sintetizzarla: nei primi 6 mesi di quest’anno lo stock delle imprese è diminuito di 6.564 unità. In pratica, nonostante qualche leggero segnale di ripresa nel secondo trimestre 2019, confrontando iscrizioni (53.354) e cessazioni (59.918) alle Camere di Commercio, è come se avessero chiuso i battenti quasi 1.100 aziende al mese.

L’allarme sulla crisi dell’artigianato italiano arriva dalla Cgia di Mestre. Nel report dell’associazione emerge che “al 30 giugno scorso, il numero complessivo delle aziende si è attestato a quota 1.299.549. Ad eccezione del Trentino-Alto Adige, in tutte le altre regioni italiane il saldo del primo semestre è stato negativo. I risultati più preoccupanti si sono registrati in Emilia-Romagna (-761 imprese), in Sicilia (-700) e in Veneto (-629)”.

Anni difficili

Ma la crisi delle aziende artigiane ha radici profonde e dura ormai da un decennio. Solo nell’ultimo anno (2018 su 2017) lo stock complessivo presente in Italia è sceso di oltre 16.300 unità (-1,2%); e negli ultimi 10 (2009-2018) la contrazione è stata pesantissima: -165.500 attività (-11,3%). Per la Cgia oltretutto è una caduta che non ha registrato soluzioni di continuità in tutto l’arco temporale analizzato.
Al 31 dicembre 2018, invece, il numero totale delle imprese artigiane attive nel nostro Paese si è attestato poco sopra 1.300.000 unità. Di queste, il 37,7% opera nell’edilizia, il 33,2% nei servizi, il 22,9% nel settore produttivo e il 6,2% nei trasporti.

Artigianato: il Sud soffre di più

A livello territoriale, il Mezzogiorno è la macro area dove la caduta è stata maggiore. Sempre tra il 2009 e il 2018, in Sardegna la diminuzione del numero di imprese artigiane attive è stata del 18% (-7.664). Seguono l’Abruzzo con una contrazione del 17,2% (-6.220), l’Umbria (che fa parte del Centro) con un -15,3% (-3.733); poi è la volta della Basilicata, con un -15,1% (-1.808), e della Sicilia, dove con un altro -15,1%, si sono perse ben 12.747 attività. In riferimento all’ultimo anno, invece, la regione meno virtuosa è stata la Basilicata con una diminuzione dello stock dell’1,9%.

I settori più colpiti

Passando ai settori di attività, l’autotrasporto è stato il più colpito dalla crisi: negli ultimi 10 anni ha perso 22.847 imprese (-22,2%). Seguono il manifatturiero, con una riduzione pari a 58.027 unità (-16,3%) e l’edilizia, che ha visto crollare il numero delle imprese di 94.330 unità (-16,2%). Tra le aziende del settore produttivo, le più in difficoltà sono state quelle che producono macchinari (-36,1%), computer/elettronica (-33,8%) e i produttori di mezzi di trasporto (-31,8%).
Sono in forte aumento, invece, imprese di pulizia, giardinaggio e servizi alle imprese (+43,2%), attività cinematografiche e produzione software (+24,6%) e magazzinaggio e corrieri (+12,3%).

Artigianato: perché si chiude

“La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la mancanza di credito e l’impennata degli affitti sono le cause che hanno costretto molti artigiani a cessare l’attività”, spiega il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo. “Per rilanciare questo settore è necessario, oltre ad abbassare le imposte e ad alleggerire il peso della burocrazia, rivalutare il lavoro manuale”.

Negli ultimi 40 anni per Zabeo c’è stata infatti “una svalutazione culturale spaventosa. L’artigianato è stato dipinto come un mondo residuale, destinato al declino. E per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese”.

Oggi, invece, queste realtà sono percepite dall’opinione pubblica come scuole di serie B. “Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno quei ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio. Per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore”, conclude Zabeo.

Manca il personale

Intanto, gli imprenditori artigiani continuano a lamentare la mancanza di personale, come evidenzia Renato Mason, segretario della Cgia. “Soprattutto al Nord si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti di mezzi pesanti, i conduttori di macchine a controllo numerico, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i battilamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri”.

Crisi e ricadute sociali

Oltre agli effetti economici e occupazionali negativi, per l’associazione veneta c’è di più. La riduzione del numero delle attività artigiane, e in generale dei negozi di vicinato, ha provocato ricadute sociali altrettanto significative. “Con meno botteghe, stiamo assistendo ad una desertificazione dei centri storici e anche delle periferie urbane sia delle grandi città che dei piccoli paesi. Questa situazione ha abbassato notevolmente la qualità della vita di questi luoghi: c’è meno sicurezza, più degrado e più abbandono”.

A Mestre sottolineano come l’abbia capito persino la politica, che con il “decreto dignità” ha stabilito che dal 2020 i Comuni con meno di 20mila abitanti avranno la possibilità di azzerare per i successivi 3 anni le tasse locali a quegli artigiani o piccoli commercianti che amplieranno il proprio negozio o riapriranno l’attività dopo un periodo di chiusura di almeno 6 mesi. “Un segnale, seppur insufficiente, che va nella direzione giusta: quella di rivitalizzare le nostre città e piccoli paesi che sono sempre più svuotati di attività e di servizi ai residenti”.

Artigianato e aumento Iva

Ma per il mondo dell’artigianato a questo segnale positivo potrebbe seguire una “stangata” dal prossimo 1° gennaio. Se non si disinnescherà l’aumento dell’Iva, per la Cgia “l’innalzamento di 3 punti percentuali sia dell’aliquota ordinaria che di quella ridotta rischia di provocare degli effetti molto negativi sul fatturato di queste attività, che vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie”.

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