Junior Cally: il rapper della discordia per la violenza espressa nelle sue canzoni, che dopo mille polemiche sarà sul palco di Sanremo, porta a casa una promozione inaspettata. A favore della sua esibizione alla 70ª edizione del Festival che si terrà tra il 4 e l’8 di febbraio su Rai1, si è schierata Famiglia Cristiana, che ha dedicato alla presentazione della kermesse musicale un servizio di diverse pagine.
Su Junior Cally il punto viene espresso in un’articolo di Maria Gallelli, insegnante delle superiori e collaboratrice del periodico. Un’opinione che di certo farà discutere. La prof sottolinea prima di tutto come il successo di Junior Cally non nasca oggi. Il rapper “è stato disco di platino nel 2017. Ma prima della sua chiamata a Sanremo era per la maggior parte di noi adulti un illustre sconosciuto. Per i ragazzi no”.
Poi Gallelli ricorda come si sia discusso animatamente sulla sua esclusione dal Festival condotto da Amadeus, dove Junior Cally canterà il brano No grazie. Addirittura, “sono state raccolte le firme per cacciarlo via, le consigliere nazionali di parità hanno scritto una lettera per chiedere alla Commissione di vigilanza della Camera e al presidente della Rai di prendere provvedimenti”.
Junior Cally: domande scomode
Nel prosieguo del suo intervento su Famiglia Cristiana dal titolo “Anche il rap può aiutarci a conoscere i nostri figli”, ripreso pure dall’AdnKronos, l’insegnate si fa una serie di domande scomode. “Dove eravamo noi genitori mentre i ragazzi lo ascoltavano, magari sui nostri stessi telefonini pronti troppo spesso a fare da baby-sitter d’emergenza? Dove noi insegnanti?”.
Discutere del male
E le risposte non tardano ad arrivare. Senz’altro, riflette la prof, “ci è sfuggito qualcosa. Da qui bisogna ripartire. Dal filtro adulto che è mancato. Dall’ascolto, dal tempo da spendere per capire, per trovare il modo di discutere, di interpretare e spiegare la violenza che esiste dentro e fuori di noi”.
Insomma, altro che censura. Per Gallelli la presenza di Junior Cally a Sanremo rappresenta un’occasione da non perdere. “Forse bisognerebbe imparare a utilizzare anche il rap a noi così lontano, a cominciare proprio dal Festival, per parlare dei disagi sociali, della violenza di genere. Cercando di ricostruire, da educatori, attraverso le cronache e le storie, quella punizione per il misfatto che in queste moderne canzoni tragiche manca del tutto. Perché occorre trovare il modo di attribuire alla giovanile rappresentazione del male una chiave di lettura”.
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