Pupi Avati ospite d’eccezione della terza e ultima giornata del Festival del Cinema in Pellicola. Una chiusura col botto per l’evento ideato da Giorgio Leopardi con l’Associazione culturale I.N. Artists, sostenuto da Banca di Piacenza, Fondazione di Piacenza e Vigevano, Camera di Commercio dell’Emilia; e con il patrocinio di Comune e Provincia di Piacenza.
Il grande regista e sceneggiatore, era accompagnato al PalabancaEventi dal fratello Antonio, produttore. Ieri pomeriggio, in Sala Panini, il giornalista del Corriere della sera, Paolo Baldini, ha sapientemente condotto una chiacchierata sul cinema, protagonisti appunto i fratelli Avati e Giorgio Leopardi. In serata, appuntamento con la proiezione in 35 mm (pellicola proveniente dalla Cineteca Italiana di Milano) del film di Pupi Avati “Bix – Un’ipotesi leggendaria” del 1991 (prodotto da Leopardi), con una macchina della collezione del compianto Paolo Truffelli (sindaco della Banca), in una Sala Corrado Sforza Fogliani sold out già da giovedì scorso.
Gli Avati e Leopardi
Dopo il saluto della Banca portato da Davide Sartori, responsabile del Coordinamento imprese, nel pomeriggio, Baldini ha chiesto al regista bolognese di raccontare l’incontro con Giorgio Leopardi, ricordando i tre film che legano il produttore piacentino agli Avati: Storia di ragazzi e di ragazze, Bix e Magnificat. «Preferirei che a questa domanda rispondesse mio fratello – ha esordito Pupi Avati – perché di budget si è sempre occupato più lui di me. Dovete infatti sapere che il cinema si fa sì con le idee, le belle storie, i grandi attori, ma soprattutto si fa con i soldi».
Antonio ha allora riferito che fu proprio il primo film citato da Baldini a far nascere la collaborazione con Leopardi: «Il nostro socio che doveva finanziarlo da un giorno all’altro si tirò indietro. Il film era già pronto e non sapevamo che pesci pigliare. Provammo allora a chiamare Giorgio, che già conoscevamo. Lui ci rispose di mandargli il copione; gli piacque e il giorno dopo ci disse di sì».
La casa di Bix
Il discorso si è quindi spostato sulla pellicola poi proiettata in serata. «Bix Beiderbecke – ha spiegato Pupi Avati – è stato il più grande jazzista bianco d’America (trombettista e cornettista) che è arrivato a guadagnare 250 dollari a settimana; Bing Crosby era fermo a 200. Nato nel 1903 a Davenport, nello Iowa, morì alcolizzato a soli 28 anni. La sua storia mi appassionò e studiai a fondo la sua biografia, che mi mandarono dall’America».
Così ha aggiunto il regista, «proposi al Governatore di quello Stato di farne un film e alla fine il sogno si realizzò. Lo girammo interamente là, utilizzando la sua casa di Davenport, che però era un po’ malmessa. Chiesi quanto costava e saputo il prezzo – solo 35mila dollari – la comprai e la sistemai. Adesso? È ancora mia. Bix visse con il cruccio di non aver mai avuto l’approvazione della famiglia per la sua passione per quel tipo di musica. E quando in casa scoprì che tutti i suoi dischi erano rimasti chiusi in un armadio ancora impacchettati, capì che i sui cari non ne avevano mai ascoltato uno. La disperazione per quel fatto lo portò alla morte, consumato dal vizio del bere».
Cinema e ambizione
Dopo aver raccontato altri gustosissimi aneddoti, Pupi Avati ha regalato al pubblico alcune considerazioni sul cinema e su se stesso. «Il cinema ha bisogno di ambizione e in Italia questa è venuta a mancare, mentre in Francia, per esempio, c’è ancora. Ho accettato la sfida di entrare nel Cda del Centro sperimentale cinematografico, perché sia io che mio fratello pensiamo che il cinema italiano debba ricominciare a sognare. Personalmente, non vivo la schizzinosità nei riguardi dei generi. Cambiare è un po’ come resettarsi per capire se si è ancora in grado di suscitare attenzione. Nei rapporti, mi riconosco più nelle persone disturbate mentalmente. I “matti” sanno andare oltre il ragionevole, ti arricchiscono».
Tutto esaurito
In serata un pubblico straboccate ha assistito alla proiezione del film di Pupi Avati, girato interamente negli Stati Uniti, Bix – Un’ipotesi leggendaria, con Bryant Weeks, Julia Ewing, Emile Levisetti, Romano Orzari, Mark Collver. Prima dell’inizio della proiezione, Steve Della Casa, direttore artistico del Festival, ha introdotto gli interventi di Pupi Avati, del fratello Antonio e di Baldini.
Alla domanda di quale fosse il rapporto tra gli Avati e il jazz, mentre Antonio ha subito confessato che il tentativo del fratello di farlo diventare come lui, in età giovanile, un musicista, fallì miseramente («mi regalò una cornetta che trasformai in una lampada»). Pupi ha spiegato che «in una città di provincia qual era Bologna negli anni Cinquanta, il jazz ha rappresentato lo strumento per essere notato dalle ragazze indipendentemente dalla presenza fisica e dalle condizioni economiche. Io avevo tutto per non piacere alle ragazze, ma loro a me piacevano molto. Per attirare l’attenzione di quelle belle dovevi possedere un’identità selettiva. Bene, avere un sax al collo ti permetteva di sedurre almeno il 36% delle mille che non ti volevano. Decisi allora che la musica jazz doveva entrare nella mia vita come elemento seduttivo».
Il no di Lucio
Poi, però, «un certo Lucio Dalla mi convinse che quella carriera non faceva per me. Convocai gli amici della band e gli comunicai la mia decisione di smettere di suonare. Nessuno disse “No!”. Lì è cominciato il periodo più doloroso della mia esistenza. Ma poi la vita ti risarcisce, se credi ai miracoli. E io ci credo», ha detto il regista. Quindi un nuovo inizio nel mondo del cinema, decollato veramente solo con la “fuga” da Bologna e il trasferimento a Roma.
Ritorno all’horror
Paolo Baldini ha sottolineato il buon impatto che ebbe Bix al Festival di Cannes e le fantastiche recensioni che si conquistò. Il giornalista ha poi accennato al nuovo film che gli Avati hanno in cantiere, L’orto americano, tratto dall’omonimo libro di Pupi (edizioni Solferino). Un ritorno all’horror, con una storia girata parte in Italia e parte negli Stati Uniti («nell’America rurale, non in quella holliwoodiana», ha rimarcato Antonio).
Voglia di Verdi
Baldini ha anche accennato al progetto di Giorgio Leopardi di produrre un docufilm su Giuseppe Verdi. «Questa è una terra verdiana – ha osservato Pupi Avati – e avere qui un produttore come Giorgio che sta seguendo questo progetto è per voi una grande fortuna. Parte della sceneggiatura si ispira al magnifico testo di Marco Corradi “Verdi non è di Parma” (sostenuto dalla Banca di Piacenza e nato da un’idea di Corrado Sforza Fogliani, ndr). Non potevamo certo sottrarci e porteremo la nostra competenza in quella che considero una cartolina d’amore e di riconoscenza verso questo grande maestro della musica italiana. Mi auguro che Piacenza tutta adotti questo film».
Applausi finali
Anche la terza serata è stata presentata da Lavinia Curtoni, responsabile dell’Ufficio Relazioni esterne della Banca di Piacenza. Allo scorrere dei titoli di coda del magnifico film biografico sulla vita di Bix Beiderbecke è partito un lungo e convinto applauso di apprezzamento indirizzato ai fratelli Avati, seduti in prima fila, ma anche a questo Festival che a Piacenza ha riacceso i riflettori sul cinema: come è stato sottolineato, vive sì di alti e bassi, ma non morirà mai.
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