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Mattarella e i poteri del Presidente: come stanno le cose per il nuovo governo?

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Mattarella: come va interpretata l’ultima presa di posizione del Capo dello Stato? Sembra voler dire che, per questi “barbari” del Movimento 5 Stelle e della Lega, garantisce lui? Come un novello Leone Magno, il Presidente della Repubblica si preparerebbe ad arginare gli Unni di oggi. Il campo di battaglia sarebbe la formazione del sospirato governo “giallo-verde”. Alla testa delle orde, una sorta di Attila bicefalo, con le facce di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Nell’attesa che, spuntando il nome terzo per palazzo Chigi, il pericolo da fronteggiare sembri un’idra e il Capo dello Stato si atteggi addirittura a Ercole.

Ma che cosa ha detto esattamente Mattarella? E di quali margini, costituzionali e di opportunità, dispone il Presidente, nella procedura di formazione del nuovo governo? Rinfreschiamoci la memoria.

L’esempio di Einaudi

Commemorando a Dogliani il suo predecessore Luigi Einaudi (1874-1961), secondo Capo dello Stato repubblicano, Mattarella sabato scorso ha piantato numerosi paletti.
Nel cuneese, il Presidente ha vantato l’economista che sedette al Quirinale perché ha usato i poteri della carica in tutta la loro estensione. Rinviando 4 leggi alle Camere di cui 2 per mancanza di copertura finanziaria. Scegliendo autonomamente un Presidente del Consiglio (Giuseppe Pella, nel 1953) per il primo governo tecnico della storia repubblicana. E, più in generale, rivendicando al Presidente della Repubblica l’esercizio di una penetrante “moral suasion” nei confronti del Governo.

Mattarella: tutore o garante?

Mattarella, però, si è spinto anche più in là. Dal discorso d’insediamento di Einaudi, ha ritagliato per il Capo dello Stato il ruolo volutamente altisonante di “tutore dell’osservanza della Costituzione”. Generalmente, se ne parla in modo più sfumato come del garante. Il Capo dello Stato, invece, nel corso della commemorazione dello statista di Carrù, ha escluso che la presidenza Einaudi sia stata all’insegna del notariato. Con tanto di esaltazione dei contro-poteri come necessario antidoto agli abusi delle maggioranze.

Costituzione e Presidente

La nostra Carta fondamentale è notoriamente laconica nelle disposizioni dedicate alla formazione dell’esecutivo. Anzi, se si eccettua l’articolo 93 sul giuramento del nuovo governo, l’unica norma interessata è il 2° comma dell’articolo 92. Che recita: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. Fine.

Naturalmente, lo scarno contenuto (sul punto) della Costituzione viene integrato grazie a imprescindibili riferimenti e rimedi. Prima di tutto, la considerazione che la Repubblica Italiana ha tuttora una forma di governo parlamentare. Ciò significa che il Capo dello Stato, pur con tutte le contraddizioni del caso, non è organo di indirizzo politico. E che, quindi, la sua facoltà di nomina del Governo non è nemmeno teoricamente libera. Essa è vincolata ai rapporti di forza parlamentari, come gli vengono rappresentati dai gruppi corrispondenti, da lui ritualmente consultati al Quirinale.

Il peso della prassi

Le consultazioni, come la necessaria cooperazione tra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio per la stesura della lista dei ministri, sono affidate alle consuetudini costituzionali. Queste ultime, consistenti nelle prassi costantemente seguite dai titolari delle alte cariche, sono considerate fonti del diritto costituzionale in senso proprio.

L’unico dato risultante dalla lettera del dettato costituzionale è che, per addivenire alla nomina dei ministri, debba operare tra i due Presidenti l’istituto del concerto. Vale a dire, dev’esserci l’accordo. In particolare: il Presidente della Repubblica non può scegliere autonomamente i ministri, essendo vincolato alla proposta del Presidente del Consiglio. Può, però, essendo l’autorità che procede alla nomina, rifiutare eccezionalmente singole designazioni. Debbono ricorrere oggettive e gravi ragioni di merito o di opportunità. Un esempio, molto noto, per tutti? Quando Scalfaro, nel 1994, fece notare a Berlusconi che nominare ministro della Giustizia un proprio avvocato (Previti) era francamente inopportuno.

La giacca di Mattarella

Da quando i fantini Di Maio e Salvini hanno accettato l’ultimo invito del mossiere Mattarella, dando il via al palio della formazione del governo, è partita una campagna di stampa ben precisa. Tra retroscena e note politiche, veline e commenti, la trama è sempre la stessa. Mattarella intenderebbe prestare garanzie, soprattutto verso l’estero (Europa e Usa), per il governo che verrà. Che saranno rispettati, cioè, non solo i trattati, ma anche i desiderata dei nostri maggiori partner.

Ma questo, del merito delle scelte, è un terreno scivoloso, perché ricade sotto la generale impossibilità per l’inquilino del Quirinale di perseguire un proprio indirizzo politico. Attenzione, allora, a distinguere tra quello che Mattarella dice e quello che taluni pretendono pensi. La corsa a tirargli la giacca, ammesso che fosse mai finita, è ripresa in grande stile.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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