Don Giuseppe Beotti: a quasi un anno esatto dalla canonizzazione del vescovo Giovanni Battista Scalabrini, la Chiesa piacentina-bobbiese vive la beatificazione di un suo sacerdote ucciso dall’esercito nazista il 20 luglio 1944 a Sidolo durante l’operazione del grande rastrellamento.
Domani pomeriggio alle 15.30, al termine del Convegno pastorale diocesano d’inizio anno, il cardinal Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, affiancato dal vescovo Adriano Cevolotto, presiederà nel duomo di Piacenza la messa con il rito di beatificazione di don Giuseppe Beotti, sacerdote diocesano e martire. La celebrazione di sabato 30 settembre, ricca di momenti significativi, sarà trasmessa in diretta streaming dalla web Tv della Diocesi.
Il 20 maggio scorso Papa Francesco, spiega una nota della Diocesi, ne ha riconosciuto il martirio “in odium fidei”, in odio alla fede. È giunto così a conclusione il processo di beatificazione iniziato in diocesi il 9 febbraio 2002. Nel novembre 2014 aveva termine questo percorso per passare alla successiva fase romana. In 21 anni si sono alternati due postulatori: nel percorso diocesano monsignor Domenico Ponzini e in quello presso la Santa Sede monsignor Massimo Cassola.
L’ultima beatificazione a Piacenza risale al 26 maggio 2018 alla presenza del cardinale Angelo Amato, allora prefetto del Dicastero delle Cause dei santi; veniva proclamata beata suor Leonella Sgorbati, uccisa a Mogadiscio in Somalia insieme alla sua guardia del corpo il 17 settembre 2006.
Una vita intesa
Giuseppe Beotti nasce il 26 agosto 1912 a Campremoldo di Gragnano in provincia di Piacenza. Viene battezzato il giorno stesso della nascita.
La famiglia di origine
Allo scoppio della prima Guerra Mondiale nel 1915 il padre Emilio deve arruolarsi e al mantenimento della numerosa famiglia provvede la madre Ernesta Mori, armata della sua fede solida. Tra il 1916 e il 1919 muoiono i tre fratellini maschi di Giuseppe a causa della difterite e della spagnola; sopravvivono solo le due sorelline, Maria e Savina.
Quando il papà rientra dalla guerra, comincia a lavorare come salariato agricolo in un’azienda della zona. Intanto Giuseppe cresce e manifesta il desiderio di farsi prete. Desiderio non facile da realizzare, viste le magre finanze della famiglia. Ma la Provvidenza esiste e interviene. Dopo il liceo, il seminarista Giuseppe Beotti viene ammesso al Collegio Alberoni di Piacenza, retto dai preti della Missione di San Vincenzo per la cura dei poveri e la formazione dei sacerdoti. Vi rimane sette anni.
Diventa sacerdote
Ordinato sacerdote il 2 aprile 1938, insieme ad altri sedici compagni, celebra la prima messa a Gragnano. È la Domenica in Albis, subito dopo Pasqua. Da giovane prete viene inviato a Borgonovo come curato, dove trascorre 15 mesi intensi e ricchi a livello umano e pastorale. Nel 1940 viene trasferito come parroco a Sidolo in val Ceno nel Comune di Bardi.
Arriva la guerra
Intanto sinistri venti di guerra cominciano a soffiare anche su quelle montagne. Don Giuseppe si distingue per la sua instancabile carità indirizzata a ebrei, partigiani, soldati feriti. La sua casa parrocchiale è sempre aperta per chiunque avesse bisogno.
Molti bussano alla porta di don Giuseppe. Per tutti don Beotti ha una parola di consolazione, un abbraccio fraterno e un sorriso. Sta dalla parte dei perseguitati, cosciente del pericolo che così facendo corre, ma il desiderio di fare del bene è più forte.
Il sacrificio di Don Beotti
Più volte anche pubblicamente offre la propria vita a Dio per la salvezza della sua gente e per tutti quelli che ha incontrato nella sua missione. Qualche settimana prima che comincino le rappresaglie dei tedeschi sulla montagna – particolarmente efferate in val Taro e val Ceno, una zona strategica perché mette in comunicazione nord e sud del Paese – quando ormai la bufera sembra imminente, don Giuseppe nella sua chiesa, a voce alta e sicura, alla presenza di tutta la comunità si dona a Dio in modo solenne. Dal tono che usa tutti capiscono che non è un’improvvisata.
La stessa offerta viene ripetuta domenica 16 luglio 1944 nel corso della messa, quando ormai i tedeschi sono arrivati a Borgotaro e le formazioni partigiane si sono disperse sui monti. “Se mancasse ancora un sacrificio per far cessare questa guerra, Signore, prendi me!”, dice con una sicurezza che lascia tutti senza fiato. Don Giuseppe è consapevole dell’importanza e della serietà di quell’offerta. L’ha maturata nel tempo, fino a sentirla necessaria, compimento della sua missione di pastore.
Finché c’è un’anima…
Quando i tedeschi stanno per piombare in paese, alcuni parrocchiani gli propongono di fuggire insieme a loro per nascondersi nei cunicoli scavati nel bosco, ma lui rifiuta categoricamente dicendo: “Finché c’è un’anima da curare, io rimango al mio posto”.
In quei mesi drammatici del 1944 don Beotti sembra prepararsi giorno dopo giorno alla morte. L’ultima volta che va a trovare la sorella Maria e i nipoti, si congeda dicendo: “Se non ci vedremo più in terra, ci vedremo in Paradiso”.
Durante un’azione svoltasi tra il 10 e l’11 luglio a Pelosa sopra Bedonia, una colonna tedesca perde 70 uomini. Questo fatto provoca un inasprimento dell’azione dei nazisti, i quali dichiarano più volte di voler vendicare i caduti.
Le ultime ore
A Sidolo i tedeschi arrivano tra il 19 e il 20 luglio del 1944. In preda al panico, molti fuggono. Don Giuseppe, no. Quella del 19 luglio è la sua ultima sera di vita su questa terra. La passa come al solito dandosi da fare per sfamare un gruppo di giovani provenienti da Borgotaro, sfiniti per la fame e terrorizzati al pensiero di finire in mano ai tedeschi che li inseguono. Si trovano a casa sua anche il giovane seminarista Italo Subacchi e il parroco di Porcigatone don Francesco Delnevo, che nella canonica di don Beotti hanno trovato riparo.
Il 20 luglio Sidolo viene invasa dai soldati alla ricerca di partigiani; il paese è devastato. I tedeschi inizialmente sembrano incerti sul da farsi, ma poi arriva l’ordine perentorio di procedere all’esecuzione. Uno degli ufficiali nazisti insediati nel comando di Bardi era stato il responsabile, in un campo di sterminio, della morte di migliaia di persone, fra cui molti ebrei. Per lui il sacerdote piacentino è colpevole di aver accolto e salvato un centinaio di ebrei in fuga dai territori slavi.
Alle 16.15 del 20 luglio don Giuseppe, il seminarista Italo Subacchi e don Francesco Delnevo vengono fucilati. Don Giuseppe tiene il breviario nella mano sinistra mentre con la mano destra si fa il segno della Croce. Muoiono anche cinque giovani borgotaresi che la sera prima don Beotti aveva accolto nella sua casa e aveva dato loro da mangiare.
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