Opinioni

Forza Italia al bivio: perno dei moderati o bastone della vecchiaia di Berlusconi?

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Forza Italia: cosa vorrà fare da grande l’attuale seconda forza del centrodestra? Nel caso del partito fondato da Silvio Berlusconi nel 1994, la domanda suona oggi come un gioco di parole. Sì, perché mai come adesso Forza Italia è stata tanto piccola. Elettoralmente parlando, almeno: solo il 14% degli italiani, infatti, l’ha votata lo scorso 4 marzo.

Politicamente, le cose non vanno molto meglio. Infatti, il rischio dell’assorbimento da parte della Lega di Salvini è grande. Specie se si dovesse tornare alle urne a breve. E anche se la legislatura dovesse scavallare la primavera 2019 col voto alle europee, bisognerà vedere come finirà la trattativa leghista con Di Maio per il governo. Riuscirà, il capo politico dei 5 Stelle, a dividere il leader del Carroccio da Berlusconi? Difficile, perché ne andrebbe probabilmente del suo futuro di capo del centrodestra italiano, però non si sa mai.

Culture politiche diverse

Ma che cos’è, esattamente, Forza Italia? Non è facile dirlo, oggi però è indispensabile ripensarlo. Per provare a farlo, torniamo allo statuto del movimento, steso alla fine del 1993.
Così facendo, ritroviamo un concetto-chiave: quello di sintesi delle tradizioni liberali, cattolico liberali, laiche e riformiste. Qui c’è subito un problema. È vero che queste tradizioni politiche hanno governato il Paese ininterrottamente per 45 anni, nel dopoguerra. Ed è vero che, accanto a degli errori, esse hanno fatto anche delle cose importanti. Storicamente, però, non sono state portate avanti da una sola forza politica. Le loro formule parlamentari di riferimento sono state prima il centrismo e poi il pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pli, Pri). La Democrazia cristiana faceva da perno nell’ambito di entrambe, ma lo schema era quello della coalizione. Ciascuna di quelle istanze, accanto a ciò che le univa (posizionamento occidentale e anticomunismo), aveva una propria rappresentanza e una propria specificità di valori.
Sin dall’inizio, insomma, è stato chiaro che la famosa sintesi avrebbe dovuto tentarla una persona: quella del fondatore di Forza Italia.

Berlusconi: un politico prestato all’imprenditoria

Silvio Berlusconi ha spesso accreditato, al proprio riguardo, l’idea dell’imprenditore prestato alla politica. Questo è senz’altro vero, nel senso che la sua vita, ormai lunga, ha avuto due fasi: affari e politica. L’impressione, però, è che il Cavaliere abbia concepito la politica per lo più come la prosecuzione degli affari con altri mezzi. Berlusconi, per dirla con Malaparte, è un arcitaliano ed è questa la ragione del suo successo. Incarna, nel bene e nel male, molti dei nostri pregi e dei nostri difetti. Tra questi ultimi, c’è un’idea ad onor del vero un po’ scolorita dell’interesse generale. Una concezione per cui esso, tutt’al più, è la somma degli interessi particolari di ciascuno, tutti debitamente massimizzati.

Sicché, l’operazione politica complessa e geniale, che Berlusconi tentò e in parte realizzò 25 anni fa, nacque apparentemente attorno a un malinteso. Il Cavaliere si è effettivamente assunto il compito di rappresentare un blocco sociale e politico, orfano di rappresentanza dopo Tangentopoli. Ma lo ha fatto per non vedere andare disperso quanto aveva costruito nella sua vita precedente, di imprenditore di enorme successo e sicuro valore. Tra i milioni di Italiani che lo hanno sostenuto, quanti avranno mai riflettuto sul fatto che il consenso prestato a Berlusconi sarebbe stato, in prevalenza, politicamente congelato? E, soprattutto: avranno mai pensato a cosa sarebbe stato del loro voto dopo Berlusconi?

Forza Italia in cerca d’autore

Eccoci al dunque. Già il declino repentino del governo Berlusconi nel 2011, sia pure maturato in circostanze  particolari anche a livello internazionale, faceva pensare. Poi, dopo il rovescio giudiziario del leader nel 2013 e l’esperimento del Nazareno nel 2014, è venuto il nuovo tonfo del 4 marzo scorso. Il sorpasso di Salvini ha certificato l’impossibilità di arginare i 5 Stelle e ora sembra un miracolo non essere mollati dalla Lega. O fagocitati, come suggerisce la tendenza Toti.

Se ci fosse, la classe dirigente di Forza Italia dovrebbe battere un colpo. Per dire che bisogna tornare, anche criticamente, al progetto originario, purtroppo rimasto sulla carta. E non finire come il bastone della vecchiaia del Cavaliere. Ma c’è qualcuno che ne abbia la volontà e la forza? Tajani, con tutto il rispetto, sembra l’amministratore del declino dei fasti che furono. Dai territori, come nel caso di Silvia Sardone, esclusa dalla giunta regionale in Lombardia pur avendo fatto il pieno di preferenze, arrivano segnali di ulteriore sfaldamento. Ci vorrebbe tempo, ma è tra quanto manca di più.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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