L’attività di bonifica è un’arte antica, il cui ruolo, nel corso del tempo, si è costantemente adeguato ai bisogni del territorio e delle comunità che lo hanno abitato. Un’attività in perpetuo rinnovamento, che rappresenta una forza durevole, in grado di affrontare con impegno i diversi compiti che la trasformazione della società ha posto all’agricoltura, al territorio e all’ambiente.
Oggi, i consorzi di bonifica rispondono alle sfide che piogge intense, alternate a periodi siccitosi, ci impongono e lo fanno mettendo in campo tecnici e operai specializzati. Personale che gestisce e provvede alla manutenzione di canali, impianti idrovori, casse di espansione e dighe e che supporta i progettisti nella realizzazione di quelle nuove opere che sono ritenute strategiche e che hanno trovato finanziamento da Unione europea, ministeri statali e Regione Emilia-Romagna.
L’impegno sul territorio
Con quarant’anni di esperienza al Consorzio di Bonifica di Piacenza, il geometra Roberto Terret ha contribuito all’ammodernamento di canali, condotte e della diga del Molato: “Ho iniziato come operaio e dopo due anni sono passato all’ufficio tecnico. Mi sono diviso tra la Val Tidone, la Val Trebbia e la Val Nure. La ristrutturazione più importante che ho seguito è stata quella del Molato, con le manutenzioni straordinarie effettuate tra il 1996 e il 2005. Lavorazioni che hanno contribuito a mantenere l’opera in sicurezza e in linea con gli standard di legge”.
L’innovazione tecnologica
Nei decenni, il modo di lavorare è cambiato ed è andato di pari passo con l’evoluzione tecnologica. Roberto Terret continua: “Ho iniziato quando si usava il tecnigrafo e vado in pensione con i giovani colleghi che disegnano in 3D (con il BIM) e controllano gli impianti con lo smartphone”.
Se pensiamo agli impianti idrovori e alle attrezzature per la derivazione delle acque, il vero cambiamento è iniziato con l’introduzione del telecontrollo: “Negli anni ’80 era necessario avere personale sul posto per controllare i livelli idrometrici e movimentare le paratoie. Nel 2000 sono state installate le prime telecamere per vedere i livelli dell’acqua dall’ufficio. La vera rivoluzione, però, è iniziata nel 2010 con la graduale implementazione del sistema di telecontrollo di impianti idrovori e paratoie. Da lì, il monitoraggio e la movimentazione sono stati possibili anche da remoto”.
Le persone restano al centro del lavoro
Le scelte, prosegue Terret, “come è ovvio e giusto che sia, continuano a essere prese dai tecnici. La tecnologia, però, ci aiuta a svolgere il nostro lavoro in modo puntale e quasi in contemporanea in più luoghi sparsi sul territorio provinciale. Questo modo di lavorare si rivela vincente soprattutto in caso di allerte meteo e innalzamento dei livelli dell’acqua, nonostante, in quelle occasioni, ci sia un’intensificazione dell’impiego del personale che arriva a coprire anche le 24 ore (a rotazione) con un presidio diretto degli impianti e del reticolo nei punti più colpiti dalle piogge”.
Un confronto tra le Valli Tidone, Trebbia e Nure
Lavorando su tre vallate, Tidone, Trebbia e Nure, Roberto Terret ha visto come dal punto di vista idraulico queste sono cambiate nel tempo: “Ho assistito a un generale potenziamento delle attività di manutenzione ai canali e agli impianti in gestione al Consorzio grazie all’assunzione di personale operaio in staff e all’acquisto di mezzi d’opera dedicati”.
C’è però una differenza importante tra la Val Nure e le altre valli, secondo Terret: “In Val Nure, la concessione irrigua è in mano a condomini privati. Qui sono i gruppi di agricoltori – associati in comizi privati e con una gestione che ricorda appunto quella di un condominio – che gestiscono l’acqua che circola nei canali e si occupano della manutenzione ordinaria del reticolo irriguo. La fotografia è però quella di una valle che, nel tempo, non ha beneficiato degli stessi interventi finanziati da Europa, ministeri e Regione Emilia-Romagna, realizzati, invece, nel resto della provincia. Mi riferisco, ad esempio, all’efficientamento delle reti idrauliche esistenti e a vere e proprie nuove opere di derivazione, piuttosto che laghi e condotte tubate”.
Sempre nell’ottica di un confronto tra le tre valli, una riflessione va agli invasi: “Solo la Val Tidone ha una diga irrigua a monte, ad esclusivo beneficio del territorio sotteso. Questo si traduce nella possibilità di accumulare risorsa quando presente, per essere poi distribuita quando necessaria, con la conseguente possibilità per gli agricoltori di ricevere acqua in modo flessibile e concordato e di poter meglio programmare le semine”. Invece “la Val Nure, come caso opposto, perché senza alcuna diga a monte, è maggiormente vulnerabile di fronte agli effetti delle crisi idriche”. Infine, “per la Val Trebbia siamo in una situazione intermedia, con la diga del Brugneto che è in territorio ligure ed è condivisa sull’uso dell’acqua: potabile ed energivoro per i genovesi e irriguo per i piacentini. Situazione, quest’ultima, conosciuta e oggetto di dibattito tra le istituzioni”.
Un pensiero all’infanzia e uno sguardo al futuro
Roberto Terret ha abitato nella casa di guardia dell’impianto idrovoro della Finarda fino a 24 anni: “Prima di me, al Consorzio, ha lavorato mio papà. Lui era l’idrovorista dell’impianto che difende Piacenza città. A metà di quest’anno andrò in pensione e lo farò con la gioia di affrontare una nuova fase della mia vita. Mi dedicherò di più alla famiglia e agli hobby che mi hanno sempre accompagnato, ma l’acqua è tutta la mia vita, e io la vedo e la sento da ancor prima di quando ho imparato a camminare e a parlare. Per me, cosa più bella non c’è e questo non cambierà”.