Cultura

Tutti i segreti della Madonna Sistina, il capolavoro assoluto di Raffaello

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Raffaello Sanzio da Urbino (1483-1520): Madonna Sistina (1512-1514, olio su tela 265x196 cm)

La Madonna Sistina è un capolavoro straordinario. E c’è una storia che sintetizza alla perfezione tutto il valore dell’opera di Raffaello. Vasilij Grossman era un giornalista e scrittore sovietico, di famiglia ebraica. Grossman conobbe sia gli orrori nazisti di Treblinka che quelli dei gulag sovietici. Tra i suoi lavori spicca il racconto sulla Madonna Sistina, chiamata anche La Madonna di Treblinka. Ed ora capirete perché: “Il ricordo di Treblinka aveva invaso la mia anima, e in principio non riuscii a capire… Era lei, la Madonna che camminava di un passo leggero, piedi nudi sulla terra tremante di Treblinka, dal luogo di scarico del treno fino alla camera a gas. La riconobbi dall’espressione del viso e degli occhi. Vidi suo figlio, e lo riconobbi dall’espressione straordinaria, non infantile. Così erano le madri e i bambini a Treblinka”.

La Madonna Sistina, un fascino senza tempo

Quest’opera nei secoli ha affascinato Freud, Goethe e Nietzsche. Ma anche Dostoevskij, che la cita ne I Demoni, ne L’adolescente e in Delitto e Castigo. Fino al re di Polonia Augusto III detto il Corpulento, che nel 1754 l’acquista dai monaci neri del convento di San Sisto a PiacenzaSecondo i critici, si tratta di uno dei più bei quadri se non il più bello del maestro di Urbino. È stato dipinto tra il 1512 e il 1514, a Roma, per ordine del suo mecenate Giulio II della Rovere, il Papa che aveva ordinato a Michelangelo la volta della Sistina e allo stesso Raffaello le immortali Stanze Vaticane. Perché? Probabilmente Giulio II, che era legato al convento e alla chiesa di San Sisto a Piacenza, voleva omaggiare lo zio Sisto IV, donando alla città un dipinto che lo ricordasse nei secoli.

Da Piacenza a Dresda

Allora: donata da un Papa nel 1514 e collocata nell’abside di San Sisto, dove ora c’è una copia di Giuseppe Nogari (la fastosa cornice è ancora l’originale), è rimasta a Piacenza 240 anni. Fin quando viene venduta ad Augusto III per la cifra immensa di 25.000 scudi romani, sembra per ripianare i debiti che il monastero aveva contratto col Collegio Alberoni. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, i nazisti per proteggerle dai bombardamenti alleati – Dresda fu praticamente rasa al suolo – nascondono la Madonna e altre 1240 opere d’arte nelle caverne vicine alla città. E quando nel maggio del 1945, l’Armata Rossa arriva a Dresda, trova il museo della città completamente vuoto.

L’ossessione di Stalin

A questo punto interviene uno strano figuro. È l’ufficiale dell’esercito sovietico Leonid Volynskij, pseudonimo del pittore Leonid Rabinovich. Stalin l’ha incaricato di trovare ad ogni costo la Madonna Sistina di Raffaello. Volynskij interroga decine di testimoni, usando anche metodi sbrigativi e sguinzaglia i suoi uomini in tutte le direzioni. Fino a quando non trova il tesoro, che viene portato in gran segreto a Mosca. Nella capitale sovietica il quadro viene sottoposto ad un accurato restauro che dura 10 anni ad opera dei migliori maestri dell’epoca. Nascosta nei sotterranei del museo Puškin, per un lungo periodo i russi negano di averla sottratta alla Germania.

Il fenomeno del Puškin

Finalmente, nel 1955, per celebrare il patto di Varsavia, Mosca decide di rivelare il possesso del dipinto e di restituirlo a Dresda. Ma prima lo espone nelle sale del Puškin. E lì avviene una cosa straordinaria. Dal 2 maggio al 20 agosto la Madonna viene visitata da oltre un milione e duecentomila persone, costringendo il museo a tenere aperte le sale dalle 7 del mattino alle 11 di sera per consentire l’enorme afflusso di visitatori. Da allora si può dire il capolavoro di Raffaello diventa un’icona pop, al pari della Gioconda e del David di Michelangelo.

La Madonna Sistina ai raggi x

Vediamo ora come si presenta il capolavoro di Raffaello a chi ha la fortuna di vederlo da vicino alla Gemäldegalerie Alte Meister (Pinacoteca dei Maestri Antichi) di Dresda. Una tenda verde si apre su un paesaggio composto da nubi. A piedi nudi, la Vergine Maria avanza verso lo spettatore, portando in braccio un Gesù Bambino con lo sguardo terrorizzato.
A fianco di Maria, inginocchiati, Papa Sisto (con i tratti di Giulio II) e Santa Barbara, le cui reliquie sono venerate nella chiesa piacentina. Papa Sisto indica a Gesù un punto indistinto davanti a lui. 
Secondo alcuni critici, stante la posizione del dipinto, Papa Sisto indica il crocifisso che era posto sull’altare maggiore della chiesa. Ecco perché lo sguardo terrorizzato del Bambino, che vede davanti a sé la raffigurazione della propria passione e della propria morte. Indimenticabili i due angioletti alla base del dipinto, la cui notorietà mediatica è forse superiore all’opera nel suo complesso.

Heidegger e la perdita di senso

Ma perché questo capolavoro di Raffaello nei secoli ha attirato l’attenzione di così tanti artisti e di persone di tutti i tipi? È una domanda che si è fatto anche Heidegger. E la spiegazione del grande filosofo tedesco è suggestiva. L’immagine, pensata per un luogo preciso (la piacentina San Sisto) e spostata altrove, nei secoli sarebbe rimasta irretita da una sorta di “perdita di senso”. Come se il suo messaggio si fosse confuso. E non fosse più comprensibile. Un messaggio che resta sospeso tra noi e il divino.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

2 Commenti

  1. La figura del Papa Sisto è il ritratto di Giulio II committente dell’opera da confrontare con quello dello stesso Giuliano della Rovere ancora Cardinale , dipinto da Melozzo da Forlì. Meraviglioso nell’espressione e nei dettagli; le mani sono altrettanto stupende quanto quelle scolpite da Michelangelo per la tomba del Papa in S.Pietro in Vincoli. Ne ho dipinto personalmente una copia seguendone la struttura e le pennellate con i brividi.

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