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Le gaffe del ministro Sangiuliano e un mondo dove arrivare presto conta più di arrivare bene

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Il ministro Gennaro Sangiuliano con il presidente Sergio Mattarella

Gennaro Sangiuliano: la recente gaffe in ambito storico del ministro della Cultura (Cristoforo Colombo debitore delle teorie di Galileo Galilei), che fa seguito a quella in tema geografico di qualche tempo fa (Times Square collocata a Londra), si presta a due letture. O se ne fa satira, o si prova a trarne spunti di riflessione. Il terreno preferito da noi è il secondo. Con questo, non vogliamo né sminuire il valore della satira – a condizione, beninteso, che essa non guardi per davvero e mai in faccia a nessuno – né, tanto meno, negarne la pertinenza alla circostanza.

Prima di tutto, comunque, una cautela: sbagliare è sempre possibile per chiunque, specie nella forma del lapsus. Non è un richiamo di maniera. D’altronde la conoscenza, per formarsi e consolidarsi, non può prescindere dall’errore. La differenza è fatta dall’umiltà di ammetterlo e dalla saggezza di servirsene di lezione.

Il declino delle professioni intellettuali

La prima considerazione che ci viene da fare è che nel corso degli ultimi sessant’anni, caratterizzati da una mobilità sociale sconosciuta probabilmente a tutte le epoche precedenti, arrivare presto è valso sempre più di arrivare bene. Con “arrivare” intendiamo darsi da fare, impegnarsi, volere riuscire. Chi non ha mai sentito dire, dalla scuola in poi: “Più si va avanti, più conta l’impegno”? Naturalmente, “arrivare” nel senso che dicevamo include non solo la disposizione e il metodo con cui si affronta la vita, ma anche i risultati che si riescono ad ottenere. Questi ultimi coincidono con il lavoro svolto e il relativo posto occupato. È pur vero, però, che una mentalità di stampo pragmatico non è aliena dal plasmare la stessa vita privata o familiare e le relazioni interpersonali in genere.

La seconda considerazione consegue logicamente alla precedente. In un mondo all’insegna di “Volere è potere”, è inevitabile che a risentirne maggiormente, in termini qualitativi, siano le professioni intellettuali. Parliamo di professioni e non degli intellettuali in generale. Siamo ben consapevoli che gli intellettuali puri, ammesso che possano esistere, sono o sarebbero una nicchia. Nondimeno, le professioni non prevalentemente manuali esistono (anzi, oggi sono preponderanti) e, tra queste, c’è senz’altro il giornalismo. 

I tentennamenti dei giornalisti

Consentiteci di riportare qualche ricordo personale, parlando di giornalismo, mondo professionale da cui Sangiuliano proviene. Due esempi, l’uno tratto dalla carta stampata, l’altro dai rotocalchi televisivi quotidiani. 

Il primo. Qualche mese fa, sul settimanale di un quotidiano nazionale, veniva intervistata una soubrette e attrice che andava per la maggiore negli anni 70. Alla domanda relativa al periodo della sua adolescenza, la signora ha risposto ricordando il primo viaggio da lei compiuto all’estero, con il padre e la sorella, destinazione l’Inghilterra. Ha detto di avere preso il traghetto per Dover a Calais e la giornalista che ha raccolto le sue risposte ha scritto “Calè”, orecchiando la pronuncia e scrivendo, in pratica, quello che aveva capito. Calais non è l’ultima località della Francia, non fosse altro perché è proprio il porto più frequentato da quanti sono diretti dal continente verso la Gran Bretagna. La cosa più grave, come sempre, è però che chi ha scritto non sapeva di non sapere: era carente del dubbio, oltreché della conoscenza. “Sapere di non sapere è il vero sapere” non è solo la summa della sapienza socratica, ma è anche lo scrigno del segreto dell’apprendimento: non sappiamo mai abbastanza, né talvolta a sufficienza.

Secondo esempio. Il conduttore di un talk quotidiano ha palesemente scambiato il vessillo dell’Onu per quello dell’Unione Europea. Problema di vista, forse. C’è da augurarselo, paradossalmente, perché confondere la proiezione del planisfero con le fattezze della sola Europa (tra l’altro, inesistenti sull’emblema relativo) sarebbe altrimenti inspiegabile. Senza contare, ovviamente, che la bandiera europea ha dodici stelle gialle in campo blu, mentre quella delle Nazioni Unite non ha stelle, è in campo azzurro ed è scandita da quattro cerchi concentrici.

Il nodo della scuola 

Permetteteci di chiosare questi racconti considerando come, poco meno di 60 anni fa, un esordiente Pippo Baudo, per approcciare la conduzione del varietà televisivo, aveva dovuto togliersi qualsiasi inflessione regionale della pronuncia. Oggi, anche una professione come il giornalismo è martoriata da svarioni di ogni tipo, anzitutto scorrettezze. Fare satira su un ministro è popolare, mentre fare riflessioni per molti versi amare sulle magagne della nostra società costa fatica, perché chiama in causa un po’ tutti. 

Va da sé che il primo a doversi sentire interpellato è il mondo dell’istruzione. Dopo la cesura del ‘68, è forte il sospetto che, insieme all’acqua sporca del nozionismo vacuo, sia stato buttato anche il bambino della serietà dell’impegno negli studi. L’ortografia e la grammatica, ad esempio, sono autentici treni: una volta persi, non si prendono più.

Lingue straniere, queste sconosciute

E che dire delle lingue straniere, persino in ambiti strettamente e altamente professionali? Prendete gli ambasciatori e lasciateci srotolare un’altra volta il filo dei ricordi personali. Anni fa, ci è capitato di assistere alla trasmissione televisiva dello scambio d’auguri per il nuovo anno tra il Papa e il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. L’ambasciatore deputato a rivolgere l’indirizzo di omaggio al Pontefice si è espresso in francese. La sua pronuncia (non la grammatica o la sintassi!) assomigliava più a quella di Totò e Peppino in trasferta a Milano, che non a quella già non molto sicura di alcuni studenti delle scuole superiori.

Conviene riflettere

Anche l’ultimo frammento di memoria riportato suggerisce come una certa approssimazione in ambito culturale rappresenti una tendenza epocale. Altrettanto può dirsi per il declino delle formalità, compresa quella della preparazione ad hoc di chi deve trattare un certo argomento, persino in un’occasione ufficiale e a partire da rilevanti responsabilità.

La gaffe del ministro Sangiuliano, satira a parte, non è la corda a cui impiccarlo, salvo che non si sia animati da passione politica avversa, ovvero da antipatia personale. Com’è senz’altro valso per noi, ci auguriamo che la circostanza del suo infortunio funga da sprone a compiere riflessioni, che spesso siamo inclini ad eludere.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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