Richiedenti asilo sempre al centro delle polemiche. L’ultima è stata generata dall’annuncio, poi parzialmente smentito, del presidente francese Macron. “Quest’estate la Francia creerà degli hotspot in Libia” per esaminare le candidature dei richiedenti asilo. Lo scopo è “evitare che le persone corrano gravi rischi senza neanche essere idonee per ottenere l’asilo”. La parziale smentita è arrivata qualche ora dopo da fonti dell’Eliseo con la precisazione, che ciò sarà possibile, quando la Libia sarà un Paese sicuro. E quindi di certo non quest’estate. Per ora la Commissione europea tace. E intanto all’idea di Macron hanno risposto il premier Gentiloni: “Serve impegno comune” e il presidente del Parlamento europeo Tajani: “la Ue deve parlare con una voce sola”.
In più, sui richiedenti asilo non si è ancora spenta l’eco della sentenza della Corte di Giustizia Ue. In sostanza, per la Corte non c’è emergenza migratoria che tenga. Vale sempre la convenzione di Dublino che impone la competenza del Paese di primo sbarco per la richiesta d’asilo. Se avesse stabilito qualcosa di diverso, l’Italia avrebbe avuto una sponda importante per sostenere una più equa distribuzione dei richiedenti asilo. Ma invece si va avanti così. E a Bruxelles è tutto fermo.
Richiedenti asilo: il nodo di Dublino
Da un anno infatti la riforma della convenzione di Dublino è bloccata. E il nodo da sciogliere naturalmente è quello dello schema di distribuzione dei richiedenti asilo. La riforma prevede che la redistribuzione scatti quando viene superata una certa soglia di arrivi in un determinato Paese dell’Unione. La Commissione ha proposto un tetto del 150% della quota stabilita per Paese. L’Italia è contraria perché la ritiene troppo alta. E perché manca un automatismo di ridistribuzione. Agli antipodi la posizione dei Paesi dell’Est: nessun meccanismo di ridistribuzione, piena libertà di accettare o meno richiedenti asilo. E naturalmente di finanziare le operazioni. L’uscita di Macron servirà a smuovere le acque? Vedremo.
Le vittime del mare
Ma di certo finora le vittime dei barconi che affondano in mare non hanno smosso le coscienze delle cancellerie europee. In meno di sei mesi, dall’inizio del 2017 al 21 giugno, 2.108 uomini, donne e bambini sono morti nel Mediterraneo mentre tentavano di arrivare in Europa. Sempre per l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), 2.011 di loro sono scomparsi sulla rotta tra il Nord Africa e l’Italia. In totale, si contano 15.000 vittime dall’inizio dell’emergenza nel 2013.
Il quadro degli arrivi
Intanto i numeri diventano sempre più pesanti anche sul fronte degli arrivi. Per il ministero degli Interni nel solo mese di giugno di quest’anno i richiedenti asilo sono stati 13.165 (+9% sul mese di maggio). Di questi 11.076 sono uomini e 2.089 donne. I minori non accompagnati sono 624 e quelli accompagnati 637. Nell’intero 2016, invece, i richiedenti asilo sono stati 123.600, in crescita del 47% rispetto al 2015. Al primo posto ci sono 27.289 richiedenti asilo arrivati dalla Nigeria (+50%). Al secondo 13.660 pakistani (+31%). E al terzo 9.040 persone provenienti dal Gambia (+13%). Sempre nel 2016, su 91.102 casi esaminati ne sono stati rigettati 54.254 (60%). E secondo Eurostat, le richieste di asilo accettate dall’Italia sono state in totale 35.450 (585 persone ogni milione di abitanti).
I costi per l’Italia
E passiamo al portafoglio. Nel 2016 la spesa del nostro Paese per far fronte all’emergenza migranti è stata di 3,6 miliardi di euro. E questo al netto dei contributi Ue. Il 66,5% e cioè 2,4 miliardi, sono stati utilizzati per l’accoglienza. Nel 2017 la spesa salirà ancora, arrivando a 4,2 miliardi. Di questi, 2,8 miliardi serviranno per l’accoglienza. Di certo una botta notevole per i nostri conti pubblici. E davanti a queste cifre, snocciolate dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che cosa sono i 100 milioni di euro offerti di recente da Bruxelles? Solo briciole, come ha sottolineato anche l’Osservatore romano.
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