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Brexit: l’Europa non dimentichi la lezione del generale de Gaulle

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Winston Churchill e il generale Charles de Gaulle durante una visita alle truppe francesi a Marrakesh (Marocco, gennaio 1944)

Brexit: si va da un rinvio all’altro. Dal 29 marzo è passata al 12 aprile, mentre l’ultimo timing è stato fissato al 31 ottobre. Ma c’è da credere che si tratti di un termine indicativo.
Scavallare la primavera, tra l’altro, implicherà che i sudditi di Sua Maestà votino il prossimo 26 maggio per il rinnovo del Parlamento europeo. Con il rischio che un Paese con un piede e mezzo fuori dall’Unione sia formalmente in grado di condizionare gli esordi della prossima legislatura comunitaria.

Brexit: da Londra alle cancellerie europee 

La gestione dell’uscita dall’Ue, sul versante di Londra, dà una persistente impressione d’improvvisazione. Difficile non pensare che i conservatori stiano approfittando della circostanza per archiviare una leadership che non ha fatto breccia, come quella di Theresa May. E che i laburisti stentino a tendere la mano all’inquilina di Downing Street contando di potersi presto insediare al suo posto. Intanto cresce la tensione al confine irlandese, come dimostrano gli scontri di Londonderry, dove ha perso la vita la giovane giornalista Lyra McKee.

Sul versante europeo, le posizioni sembrano leggermente sfumate. Scontata la propensione apertamente filo-britannica di olandesi e scandinavi, anche Berlino mostra il cuore d’oro a Londra. Angela Merkel all’ultimo Consiglio europeo si è detta disposta ad aspettare addirittura un altro anno. La Francia di Macron invece fa mostra di maggior rigidità, ma il ridimensionamento dell’influenza del Paese e dell’autorevolezza delle sue classi dirigenti non inganna nessuno.

La causa del rinvio lungo è stata subito sposata anche dall’Italia di Giuseppe Conte. Neppure il sovranismo al governo riesce a scalfire l’irenismo e l’atlantismo della nostra politica estera. Non dimentichiamo però che il “no deal” (uscita senza accordo) comporterebbe danni per tutti, noi compresi col nostro ingente interscambio.

Regno Unito e costruzione europea

Tuttavia ci sembra che un aspetto di capitale importanza venga eccessivamente sottovalutato dalle analisi che sono state dedicate alla Brexit. Lo stucchevole rimpallo di responsabilità tra Westminster e Downing Street sarà certo anche la spia di un logoramento del tradizionale invidiabile funzionamento delle istituzioni britanniche. Il vento populista spazzerà anche oltre Manica. E in effetti il referendum indetto 3 anni fa da Cameron fu un azzardo di sistema, giacché per gli inglesi la democrazia è essenzialmente rappresentativa e non diretta.

Da sempre, però, il Regno Unito è ad un tempo dentro e fuori la costruzione europea. Il motivo è semplice: il rischio che essa si realizzi concretamente non è consentito per Londra. Da Napoleone a Hitler, i tentativi di unificazione basati sulla forza hanno visto la Gran Bretagna in prima linea nell’opposizione più strenua. E specie nel secondo caso, un po’ tutti in Europa gliene siamo debitori. Quando è venuta l’ora della Comunità economica europea, battezzata dal trattato di Roma del 1957, gli inglesi hanno inizialmente rifiutato di aderirvi. Ma ben presto, essendosi resi conto che avrebbero potuto lucrarne dei vantaggi e che la chimerica prospettiva federalista non aveva comunque spazio, hanno domandato di entrarvi. A che scopo? Per farla fallire, è ovvio. E chi glielo ha impedito, a due riprese (1962 e 1967)? Un uomo solo: il generale de Gaulle.

Verità scomode

È raro additare in una persona sola e contro tutti, in patria e all’estero, la portatrice di un interesse veramente generale. Ma, trattandosi di un gigante della storia e della politica, che ha salvato 2 volte il suo Paese nell’arco di 30 anni, non si può fare diversamente.

Nel novembre 1967, il fondatore della Quinta repubblica ribadì il veto francese all’ingresso della Gran Bretagna nel Mercato comune europeo. Lo fece con la consueta autorità e con rinomata abilità retorica, non inferiori alla chiarezza della visione e alla capacità di argomentazione. Ma la trovata geniale, quella che secondo de Gaulle illuminava il passato e che secondo noi illustra il presente della Brexit, è la definizione di commedia. Parlò dell’attitudine di Londra di fronte all’allora Cee come di una pièce, di cui andava in scena il 5° atto. E come dargli torto ancora oggi, quando il Parlamento rifiuta di approvare l’accordo per l’uscita concluso dal Governo perché troppo blando, quando l’alternativa è restare dentro la Ue?

Brexit: l’importante è distinguersi

Il grande popolo inglese e i grandi popoli britannici amano distinguersi, perché sanno di possedere alcune qualità di cui vantarsi. Un tempo avevano l’impero, la marina, i commerci e la sterlina come valuta di riserva mondiale. Oggi, in un mondo più vasto e dagli equilibri spostati a ovest e a est, basta per distinguersi guidare a sinistra?

E allora, piuttosto che essere uno dei 5 Paesi maggiori dell’Unione europea, il Regno Unito preferisce essere l’alleato privilegiato di Washington. E tenersi la moneta, il common law e il controllo delle frontiere. Del resto, sono questi già i privilegi della regola dell’opt-out, dei quali Londra si giovava anche aderendo all’Europa unita (in parte insieme a Danimarca, Irlanda e Polonia). Senza dimenticare gli sconti sul contributo al bilancio comunitario, pretesi da Margaret Thatcher negli anni ’80.

Vista dal Continente, l’uscita della Gran Bretagna non è un buon segno, perché significa che quella attuale è un’Europa che Londra mostra di non temere. Resta però da vedere se la Brexit si farà per davvero. Oppure se assisteremo a nuovi atti di quest’infinita commedia. Senza il generale de Gaulle, però, nessuno sembra in grado di far calare il sipario nemmeno per un provvidenziale intervallo.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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