Attualità

Pronto soccorso, Arcelli (Snami): no ai Cau, sono un ostacolo alla cura dei pazienti

pronto-soccorso-arcelli-snami-cau-ostacolo-cura-pazienti

Cau: “I nuovi Centri di assistenza urgenza sono inutili, un ostacolo alla cura dei pazienti”. Parla chiaro il dottor Nicola Arcelli, presidente provinciale a Piacenza di Snami, il sindacato dei medici che non ha firmato l’accordo con la Regione Emilia-Romagna per dar vita a queste inedite strutture sanitarie. Che cosa sono i Cau? Centri che dovrebbero “filtrare” i pazienti contrassegnati dai cosiddetti codici bianchi e verdi, selezionando quelli da destinare al Pronto soccorso in ospedale.

Quadro fumoso

«Faccio una premessa: la delibera regionale sui Cau è quantomeno fumosa», afferma Arcelli. «Da quel poco che si capisce, i Centri saranno strutture intermedie, situate in nuovi ambienti; e quindi solo per questo richiederanno ulteriori investimenti immobiliari da parte dell’Ausl. Poi saranno dotati di uno strumentario approssimativo, che non può essere paragonato a quello di un Pronto soccorso. Per fare un esempio, nel Cau si potrà fare un elettrocardiogramma, un’ecografia e degli esami del sangue base, ma niente di più. Poi, se lo riterrà opportuno, il medico del Cau invierà il paziente al Pronto soccorso dell’ospedale per ulteriori accertamenti».

Accessi impropri

In sostanza, i fautori dei Cau vogliono creare uno sbarramento, una sorta di preselezione dei pazienti, per evitare accessi impropri ai Pronto soccorso, quelli che per loro ne intasano l’operatività. Ma secondo Arcelli non è così. «L’arrivo in ospedale di un paziente di sua volontà o inviato dal medico curante, perché lamenta uno stato di malessere, non può essere definito a priori come un accesso improprio. E sottolineo che i codici bianchi o verdi non possono essere catalogati automaticamente come accessi impropri; perché, nella maggior parte dei casi, vengono comunque effettuati svariati esami prima di assegnare il codice bianco o verde».

Numeri a confronto

E poi «diciamoci la verità», prosegue Arcelli. «Parlare di Pronto soccorso preso d’assalto come fa l’Ausl, perché a Piacenza arrivano 150 pazienti al giorno in quello cittadino, dopo che sono stati ridotti quelli di Fiorenzuola e Castel San Giovanni, mi pare eccessivo. In provincia di Piacenza c’è una popolazione residente di oltre 285mila abitanti. E chi accusa i medici di famiglia e anche i colleghi della continuità assistenziale (le vecchie guardie mediche, ndr) di non “filtrare” i pazienti che si rivolgono loro, inviandoli sempre e comunque in ospedale, non ha il polso della situazione».

Prima di tutto, aggiunge il presidente provinciale di Snami, «qualcuno dovrebbe ricordare che solo i medici di famiglia si occupano in media di 20mila persone al giorno, circa 100 pazienti a testa per i 200 colleghi in servizio sul nostro territorio. Quindi, di cosa stiamo parlando? I 150 accessi sono ben al di sotto dell’1%; e si scende ulteriormente, se prendiamo in esame anche i dati della continuità assistenziale; senza dimenticare che ben oltre la metà dei pazienti va direttamente in Pronto soccorso senza consultare il medico di famiglia».

Dove investire

Sta di fatto che però un giorno sì e uno no la cronaca racconta di pronto soccorso intasati e al limite dell’operatività. Come se ne esce? «Per esempio, basterebbe aggiungere un medico in un ambulatorio contiguo al Pronto soccorso, per effettuare questi controlli in loco, senza bisogno di spendere fior risorse in nuove strutture ambulatoriali sul territorio, che aumentano solo i costi sanitari in modo improduttivo», riflette Arcelli.

Ma se i medici da inserire non si trovano? «Allora vanno utilizzati meglio quelli che già ci sono», propone il presidente di Snami Piacenza. «Invece di sprecare risorse nei Cau e di proporre ai medici di famiglia di andare in quelle strutture da collaboratori, distraendoli dalla loro attività principale, si possono supportare con più risorse gli ambulatori di Medicina di gruppo, quelli sì già presenti sul territorio, senza bisogno di nuovi investimenti immobiliari».

Con più risorse a disposizione, «i medici di famiglia potrebbero fare formazione specialistica; acquistare nuova strumentazione; assumere più collaboratori tra personale infermieristico e di segreteria… Quindi, naturalmente su base volontaria, e come succede in Gran Bretagna, i loro ambulatori potrebbero diventare un punto di soccorso e diagnosi più completa per pazienti che conoscono meglio di chiunque altro, prima di inviarli al Pronto soccorso ospedaliero solo in caso di un’effettiva necessità di approfondire il quadro clinico», conclude il dottor Arcelli.

Website | + posts

Giovanni Volpi, giornalista professionista, è il direttore del Mio Giornale.net. Ha iniziato al Sole-24 Ore nel 1993. Dieci anni dopo è passato in Mondadori, a Tv Sorrisi e Canzoni, dove ha ricoperto anche il ruolo di vicedirettore. Ha diretto Guida Tv, TelePiù e 2Tv; sempre in Mondadori è stato vicedirettore di Grazia. Ha collaborato con il Gruppo Espresso come consulente editoriale e giornalistico dei quotidiani locali Finegil.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.