Economia

Voucher: l’arma giusta per combattere il lavoro nero?

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Voucher: dopo essere stati eliminati stanno tornando di moda. Se ne parla di nuovo come strumento per combattere o almeno contenere il lavoro nero. E quella della loro reintroduzione è un’ipotesi che anche il vicepremier e ministro di Sviluppo economico e Lavoro Luigi Di Maio ha promesso di valutare soprattutto per alcuni settori come agricoltura e turismo.

Voucher: Cgia all’attacco

A spezzare una lancia per il ritorno dei voucher è la Cgia di Mestre, che è partita proprio dal conto salatissimo del lavoro nero in Italia, basandosi sugli ultimi dati disponibili del 2015. Secondo le stime dell’Ufficio studi dell’organizzazione veneta ci sono 3,3 milioni di “lavoratori invisibili”, che sfuggono all’Agenzia delle entrate, all’Inps e all’Inail e “fatturano” 77,3 miliardi di euro all’anno. Così sottraggono al Fisco un gettito di 42,6 miliardi. In pratica il 40% dell’evasione d’imposta, stimata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in 100 miliardi annui.

Chi paga il conto

A rimetterci “non sono solo le casse dell’erario. Ma anche le tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigianali e quelle commerciali che, spesso, subiscono la concorrenza sleale di questi soggetti”, spiega la Cgia. Questi lavoratori in nero, infatti, non sono sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a quelli fiscali. Quindi “consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore”. E di conseguenza “di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto. Prestazioni, ovviamente, che chi rispetta le disposizioni previste dalla legge non è in grado di offrire”.

Sud devastato

Un quadro ancora più pesante nel Mezzogiorno. “Nel Sud, dove la presenza è diffusissima possiamo affermare che il sommerso è anche un vero e proprio ammortizzatore sociale”, spiega il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo. “Sia chiaro, nessuno vuole giustificare il lavoro nero legato a doppio filo con forme inaccettabili di caporalato, sfruttamento e mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro. Tuttavia, quando queste forme di irregolarità non sono legate ad attività controllate dalle organizzazioni criminali o alle fattispecie appena richiamate, costituiscono, in momenti difficili, un paracadute per molti disoccupati o pensionati”.

L’arma dei voucher

Per contrastare questo fenomeno la reintroduzione dei voucher potrebbe essere una prima risposta. “I voucher erano stati concepiti dal legislatore per far emergere i piccoli lavori in nero”, afferma il segretario della Cgia Renato Mason. “Se in alcuni settori c’è stato un utilizzo del tutto ingiustificato di questo strumento, paradossalmente il problema dei voucher non è ascrivibile al loro eccessivo ricorso. Ma, al contrario, per essere stati impiegati pochissimo”. In modo particolare “proprio al Sud, dove la disoccupazione è molto elevata e l’abusivismo e il sommerso hanno dimensioni molto preoccupanti. Eliminarli, quindi, è stato un errore”. Pertanto, secondo la Cgia vanno assolutamente reintrodotti. Soprattutto “nell’agricoltura, nel turismo, nei settori dove è forte la stagionalità e tra le micro imprese artigiane”.

Meno tasse e più legalità

I voucher naturalmente da soli non sono sufficienti per contrastare il lavoro nero. Per la Cgia c’è la necessità di abbassare tasse e contributi previdenziali. Di ridurre il carico amministrativo e di incentivare le misure dissuasive e di stimolo all’emersione. Come? “Sostenendo, soprattutto, l’attività di controllo eseguita dagli organi preposti”. Senza contare, infine, “che è necessario mettere in campo una grande operazione educativa in tutti gli ambiti sociali per promuovere la cultura della legalità”.

Il podio del Mezzogiorno

Ma torniamo ai numeri del lavoro nero su base regionale. Secondo la Cgia la regione più a “rischio” è la Calabria. “Presenta 146mila lavoratori in nero, ma un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil regionale pari al 9,9%. Un risultato che è quasi doppio rispetto al dato medio nazionale (5,2%)”. E il tutto si traduce “in quasi 1,6 miliardi di euro di mancate entrate per lo Stato dalla Calabria”.
Al secondo posto per incidenza sul Pil c’è la Campania. “Con 382.900 unità di lavoro irregolari ‘produce’ un Pil in ‘nero’ che pesa su quello ufficiale per l’8,8%. Così, le tasse che mediamente vengono a mancare in Campania ammontano a 4,4 miliardi all’anno”. Terza piazza per la Sicilia. “Con 312.600 irregolari e un peso dell’economia sommersa su quella complessiva pari all’8,1%, le imposte e i contributi non versati sfiorano i 3,5 miliardi all’anno”.

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