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Concorso truccato per diventare magistrato: ecco perché l’abuso d’ufficio non va abolito

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Concorso truccato: il metodo è vecchio come il mondo. In molti casi l’elaborato scritto d’esame deve essere anonimo. L’identità del candidato è chiusa in una busta allegata allo scritto. Prima si corregge l’elaborato, poi si abbina il nome. E allora come fare? Basta indicare al commissario di turno la frase d’inizio dell’elaborato o un altro segno distintivo per rendere riconoscibile la propria prova.

Il concorso romano

Di solito ci si accorda prima. Questa volta no: il candidato, una volta consegnato lo scritto, invia un sms al commissario indicandogli il dettaglio rivelatore. Ma, ahimè, sbaglia commissario. Il ricevente denuncia subito il fattaccio, intervengono i carabinieri che scoprono in breve l’arcano. Candidato e commissario colpevole vengono processati con rito immediato e ovviamente condannati.

Tutto questo avveniva nello scorso mese di settembre, a Roma, al concorso per l’ingresso in magistratura. È stato rivelato (caduto il segreto istruttorio) dal procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, a un convegno e per un motivo più che nobile. Afferma il magistrato: dato che tra i due non c’era stata né consegna né promessa di denaro o altra utilità, non si poteva parlare di corruzione o concussione ma di abuso d’ufficio. Siccome il reato non è stato compiuto, si era trattato solo di tentativo, proprio il tipo di reato che la politica oggi vorrebbe eliminare. E l’esempio è stato offerto per dimostrare che, se si abolisse questa fattispecie, i due non sarebbero mai stati sanzionati.

Il diavolo fa le pentole, ma…

Ora, scontata l’indignazione per il comportamento del candidato giudice, dal quale si pretende una dirittura morale superiore alla media e che è stato bandito per sempre da qualunque concorso per l’accesso alla magistratura, ci chiediamo come sia stato possibile, nel concreto, un errore di questo genere. Da quanto ci è dato sapere, il candidato doveva essere un giovane da poco laureato e che, forse, a voler tutto concedere, aveva fatto qualche anno di pratica forense post laurea mentre studiava per il concorso. Che conoscesse uno dei commissari d’esame al punto da averne il numero di cellulare è già abbastanza anomalo: di solito i commissari sono professori universitari (come nel nostro caso) o magistrati.

Vuoi il caso che il commissario fosse stato uno degli insegnanti del candidato? Magari il relatore della sua tesi? Un amico di famiglia? Possibile, in questo caso, che il candidato mariuolo ne conoscesse il numero di telefono. Ma possibile che ne conoscesse due? E, in tale caso, evidentemente anomalo, è possibile che il secondo commissario, appena ricevuto il messaggio truffaldino, sia corso a denunciarlo? Se hai un’attività lavorativa, è possibile che tu abbia nella rubrica telefonica sia numeri di amici che di nemici con i quali devi interagire. Ma uno studente, secondo logica, dovrebbe avere tra i suoi contatti telefonici molti amici, qualche parente e, al massimo, il relatore della sua tesi.

Meglio così

Seconda considerazione: tra i tantissimi contatti che tutti abbiamo memorizzati sul cellulare è possibile confonderne due? Non so voi, io ne sono abbastanza terrorizzato per cui individuo con la massima precisione i miei contatti, personalizzandoli al punto da indicarne parentele o affetti («Sonia, morosa Fabio», «Giovanni fornitore vino», «Enrico, cugino Daniela»). Possibile che il nostro candidato abbia memorizzato i suoi due contatti con la stessa indicazione («Mario, commissario esame») tanto da riuscire a confonderli?
In tal caso, meglio che al concorso sia andata così: chissà che pessimo giudice sarebbe stato.
(articolo pubblicato su ItaliaOggi)

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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