Piacenza

Cure territoriali: le critiche all’Ausl di medici di famiglia (Fimmg) e del Coordinamento salute

Cure territoriali: l’Ausl di Piacenza ha organizzato un convegno dedicato alla presentazione del progetto locale che darà applicazione al decreto 71 del ministero della Salute. Nell’incontro del 7 maggio, tenuto nel salone degli arazzi del Collegio Alberoni e coordinato dal direttore assistenziale Andrea Contini e dal direttore sanitario Andrea Magnacavallo, si è parlato di tutte queste novità calate nella realtà piacentina. Dalla trasformazione delle Case della salute in Case della comunità; dall’arrivo delle Centrali operative territoriali (Cot) che dovrebbero affiancare gli odierni tre Distretti sanitari sul piano organizzativo, agli Ospedali di comunità (previsti due Osco, nell’ex Clinica Belvedere a Piacenza e a Castel San Giovanni), per finire con l’inserimento nel sistema di assistenza sanitaria della figura dell’infermiere di famiglia.

Insomma, tanta carne al fuoco che ha scatenato le reazioni critiche da parte degli addetti ai lavori, in primis i medici di famiglia rappresentati dalla Fimmg, sigla sindacale di primo piano anche a Piacenza. Senza dimenticare la presa di posizione del Coordinamento provinciale piacentino su salute e medicina territoriale.
Partiamo allora dalla presa di posizione del direttivo Fimmg provinciale, riprendendo per intero la nota che ha divulgato dopo il convegno dell’Ausl di Piacenza.

Quale futuro per i medici di famiglia?

Al convegno «i medici di medicina generale sono stati invitati in qualità di uditori. Nessun rappresentate è stato coinvolto né nella organizzazione dell’evento né nella presentazione del punto di vista di chi, quotidianamente in prima linea, è stato liberamente scelto dai cittadini come medico di fiducia. La Regione, e di conseguenza la nostra Asl, non ritiene evidentemente importante confrontarsi con le figure professionali che sono da sempre al centro dell’attività del sistema sanitario nazionale. Forse per paura che emergano criticità che sono però sotto gli occhi di tutti (vedi ad esempio il problema delle liste di attesa).

Il medico di medicina generale, lavorando a stretto contatto con la cittadinanza ed essendone interlocutore preferenziale, conosce bene le criticità del sistema ed è il portavoce dei bisogni assistenziali riferiti dalla popolazione.
Se fossimo stati interpellati avremmo posto alcune domande:

  • continuerà a esistere la Medicina Generale faticosamente ma imperfettamente costruita negli ultimi decenni?
  • Ci sarà ancora la rete distribuita sul territorio e il rapporto con il cittadino legato alla sua scelta libera ma revocabile del proprio medico di famiglia?
  • Il decisore politico spiegherà perché è disposto ad assumere qualche decina di migliaia di infermieri di famiglia e non è disposto a fornire qualche centinaio di infermieri ai team di medici di famiglia?
  • Qualcuno ci spiegherà perché ci aspettiamo un miglioramento di efficienza attraverso i nuovi distretti da 100 mila abitanti e da Case di Comunità di 40 mila abitanti e non attraverso un investimento su unità territoriali più leggere come le Medicine ben organizzate dei medici di medicina generale (come quelle di gruppo)?
  • E in sede locale, quando verranno discussi gli accordi sulla gestione della cronicità ormai scaduti da tempo?

Il sindacato Fimmg si augura che la evidente frattura non sia insanabile. È indispensabile l’integrazione tra tutte le figure operanti nel sistema sanitario ma il medico di medicina generale dovrà essere ancora trave portante dell’organizzazione sanitaria territoriale. Ne va del Sistema sanitario nazionale».

Si è parlato solo di muri…

Veniamo alla presa di posizione del Coordinamento provinciale piacentino su salute e medicina territoriale, sempre a seguito del convegno dell’Ausl di Piacenza, che vi riproponiamo integralmente.

«Avremmo voluto partecipare anche noi come Coordinamento salute e medicina territoriale. Infatti ci eravamo iscritti anche solo per ascoltare, mediante collegamento online, ma nessuna risposta ci è stata data a conferma della nostra iscrizione. Peccato, continuiamo a ritenere che il tema della salute dovrebbe essere il più partecipato possibile. Nel fare qualche prima considerazione dovremo quindi limitarci a quanto letto sui giornali. L’Ausl ha presentato alcune linee di riferimento che sono sostanzialmente quelle contenute nel DM 71, che prevedono un impegno particolare nello sviluppo della medicina territoriale. Ma perché questo sviluppo abbia un senso e sia davvero efficace, non basta elencare quante case di comunità verranno realizzate, quanti Os.Co (Ospedali di Comunità), ecc.

  • Per le case di Comunità serve prima di tutto sapere quali investimenti l’Ausl intenda stanziare in personale, attrezzature diagnostiche. Serve sapere quali specializzazioni, reti di assistenza domiciliare (medica ed infermieristica), qual consultori (ginecologici, per le malattie mentali) ecc. Serve inoltre sapere come si copriranno le carenze sul territorio dei medici di medicina generale.
  • Per quanto riguarda gli Os.Co, che sicuramente rappresentano un utile sostegno alla gestione assistenziale di patologie croniche, lungo-degenze, riabilitazioni (ma senza che ciò intacchi l’urgenza di rimettere mano e sviluppare la rete ospedaliera esistente), ci sono questioni da chiarire. Da quel che si è capito due nuovi Os.Co si aggiungerebbero a quello già esistente. Ciò significherebbe allora che quanto si è andato promettendo nei mesi scorsi su Bobbio – ospedale di montagna o cose simili – sia da considerarsi ormai evaporato? E l’Os.Co previsto a Castel San Giovanni sarà una struttura aggiuntiva all’attuale polo ospedaliero o comporterà un suo ridimensionamento per liberare spazi e risorse per questo Os.Co?

In conclusione, tutto quanto annunciato nel convegno (compreso l’infermiere di territorio che sembra in realtà un altro modo per declinare quella assistenza domiciliare che già i distretti dovrebbero avere) sembrava più una dichiarazione di fedeltà ai principi ed agli obiettivi del DM 71 che non la presentazione di un vero e proprio piano di investimenti per soddisfare gli impellenti bisogni di una medicina territoriale di qualità.

Ancora una volta si è parlato solo di muri. Sopratutto è mancato quel quadro di insieme che definisse, una volta per tutte, la necessità di un sostegno forte alla rete ospedaliera esistente, cardine si una medicina territoriale davvero efficace. Veniamo da anni di ridimensionamento pesante della rete ospedaliera a cui sembra non si intenda dare risposte. Carenza dei pronti soccorso, di organico, con pesanti ricadute sulle liste di attesa, sui disagi nei trasferimenti e uno sviluppo sempre maggiore del ricorso alla sanità privata.

Anche la Presidente della Conferenza socio sanitaria Lucia Fontana ha sollevato qualche perplessità a riguardo sulla stampa. Viene da domandarsi come mai solo ora sembra accorgersi di questa fragilità della rete ospedaliera quando per anni, alle tate richieste di intervento per una revisione del piano sociosanitario del 2017, ha sempre – e non solo lei – risposto picche. Il convegno dell’Ausl, oltre ai silenzi sulla fragilità della rete ospedaliera, non ha dato risposte, se non generiche, anche sula medicina territoriale, esaurendo il dibattito su un solo punto: come spendere i soldi del PNRR? Quanti edifici costruire? dove farli? Ma nessuna riflessione su quello che ci si metterà dentro, il contenuto, la funzionalità!

Come ormai tanti cittadini chiedono, il coordinamento provinciale su salute e medicina territoriale ritiene inderogabile la revisione del Piano di riorganizzazione della rete ospedaliera approvato nel 2017. Se l’obiettivo è una sanità pubblica in grado oggi di rispondere con efficacia ai bisogni urgenti e insoddisfatti gli investimenti cominciano dal personale e dalle attrezzature diagnostiche».

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