Cultura

“Giornata Arisi”: al PalabancaEventi omaggio al grande critico d’arte piacentino che amava il giornalismo

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La "Giornata Arisi" 2024 al PalabancaEventi, a destra, il critico d'arte (1920-2013)

«Ho amato il professor Arisi: persona unica, irripetibile, che rimanda ad un altro personaggio unico, Corrado Sforza Fogliani. Piacenza li ha persi e mancano tanto. Mi consola il pensiero – richiamando l’urne dei forti del poeta di Zante (le tombe dei grandi di cui parla il Foscolo nei Sepolcri come luoghi destinati a celebrare il passato da cui trarre stimoli per operare nel presente, ndr) – di considerarli tra i grandi uomini da cui prendere esempio».

Con queste parole Carlo Giarelli, medico e saggista, ha concluso ieri il suo intervento alla “Giornata Arisi”, che da 11 anni la Banca di Piacenza promuove in ricordo del più grande critico d’arte che Piacenza abbia mai avuto. In Sala Panini del PalabancaEventi, davanti a un pubblico numeroso e in presenza delle figlie del Professore, Giarelli ed Emanuele Galba, direttore di Bancaflash, hanno raccontato anche il Ferdinando Arisi giornalista: da insuperabile divulgatore qual era, amava infatti scrivere articoli per i giornali, nei quali trattava argomenti a tutto campo e non solo in quello dell’arte.


Da sinistra: Emanule Galba e Carlo Giarelli

Un grande studioso… ma non solo

Giarelli ha dapprima ricordato alcuni aspetti biografici di Arisi meno conosciuti. Nato nel 1920 a San Polo, studia al Collegio Alberoni («conserverà sempre la fede») per poi laurearsi, nel 1946, alla Cattolica di Milano in Lettere classiche, a cui segue la frequentazione di un corso di perfezionamento in Storia dell’arte. «Aveva la vocazione di trasferire agli altri il suo sapere». E forse non tutti sanno che dava lezioni private a Piacenza, in via Giordano Bruno. E che nel 1947 a San Polo, in un locale messo a disposizione dal parroco don Stefano Fumagalli, Arisi asseconda la richiesta di alcuni reduci di guerra di insegnare loro i rudimenti delle materie più importanti per poter arrivare al conseguimento del diploma (di scuola media inferiore, che ottengono poi all’Istituto Casali) «chiedendo solo ai suoi allievi di portare ognuno, in inverno, un pezzo di legna per la stufa».

Il professore – che aveva insegnato a Piacenza alle Medie inferiori e al Classico – ottiene in seguito la cattedra di Storia dell’Arte alla Cattolica di Brescia. «È stato il più grande studioso d’arte a Piacenza e tra i maggiori a livello italiano e internazionale», ha puntualizzato Giarelli, che poi ha sottolineato le doti umane di Arisi, la sua capacità di misurarsi con tutti. «Mai cattivo e mai polemico, usava socraticamente l’arte dell’ironia».

Raccontare senza mettersi in cattedra

Venendo all’Arisi giornalista, Giarelli ne ha evidenziato le ottime qualità: «Desiderava raccontare ma senza mettersi mai in cattedra. Esprimeva le cose in modo semplice e nei suoi pezzi inseriva spesso qualche frase in dialetto mescolata ad alcune parole in un latino maccheronico. Era, anche quando proponeva articoli, spontaneo e ironico. Poteva scrivere su qualsiasi giornale, ma aveva scelto La Cronaca. Perché? Per due motivi: perché era un giornale libero e lui era un uomo libero e perché era amico di coloro che collaboravano con il quotidiano, a partire da Vito Neri, Ernesto Leone, Corrado Sforza Fogliani».

Emanuele Galba dal canto suo ha raccontato l’Arisi collaboratore de La Cronaca: «Spesso veniva in redazione di persona e portava i pezzi, scritti a macchina, non a una redattrice qualsiasi ma a Laura Bricchi, sua nipote, che si occupava proprio delle pagine culturali. Passava sempre a salutarmi e si dimostrava non solo collaboratore, ma attento lettore del giornale, segnalandomi magari qualche errore nel quale eravamo incorsi e dandomi preziosi spunti anche a livello di argomenti da trattare».

Il piglio del cronista

Al centro del suo intervento Galba ha citato alcuni articoli per esemplificare come Arisi non scrivesse solo d’arte, dimostrando in molte occasioni il piglio del cronista (frequenti le notizie in esclusiva di quadri di artisti piacentini – Panini soprattutto e Boselli – battuti in famose case d’aste, Sotheby’s piuttosto che Semenzato, a cifre importanti) e il gusto per le curiosità (per esempio, la griffe della “Robe di Kappa” che ricorda un quadro di Giacobbi o l’errore nell’atto di battesimo di Panini scritto con due enne, Pannini). Un intervento che si è aperto con la lettura di uno splendido articolo scritto da Vito Neri su La Cronaca del 14 novembre 2010 (“La fratellanza è senza età”) in occasione dei 90 anni di Arisi, festeggiati dalla Banca di Piacenza a Palazzo Galli, dove si parla dell’“attitudine affabulatoria” del Professore “meglio ancora narrativa, ironica e persuasiva, con tutte le parole al posto giusto per dire le cose giuste, la semplicità del cuore, la franchezza dell’animo, la dotta semplicità della scrittura”.


Da sinistra: Arisi, Sforza e Alberto Spigaroli, per i 90 anni del critico nel 2010

Fratellanza senza età

Galba ha chiuso il suo ricordo ricorrendo ancora a Vito Neri: nella “quasi prefazione” (così l’aveva chiamata) del libro che aveva iniziato a scrivere pochi giorni prima di morire, dedicato alle “Tre meraviglie di Piacenza e altri frammenti” («quasi una premonizione – ha osservato Galba – rispetto alla mostra immersiva che sta nascendo in queste ore, Icônes, al PalabancaEventi dal 15 giugno al 7 luglio, con due tesori piacentini che corrispondevano alle scelte di Neri e Arisi, l’Ecce Homo di Antonello da Messina e il Tondo di Botticelli, allora la Signora di Klimt non era ancora stata ritrovata») si racconta di un incontro in casa del critico d’arte, dove Ferdinando capì che Vito aveva in testa un libro. Neri confermò chiedendogli se l’aiutava. “Fu prontissimo e generoso come sempre – si legge nel testo citato -: ‘Lo facciamo insieme’ e mi diede una gran manata sulla schiena. I suoi 92 anni ce lo hanno portato via. Lui che sembrava eterno e ci aveva insegnato che la fratellanza non ha età”.

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